Fior di passione di Matilde Serao pagina 12

Testo di pubblico dominio

un altro amante di Fortunatella. I briganti chiesero trentamila ducati di riscatto e tagliarono le orecchie del prigioniero. Poi gli tagliarono il naso ed il dito mignolo, e chiesero settantamila ducati, poi, come invece del danaro, vennero i bersaglieri, lo ammazzarono con una pugnalata nello stomaco. Fu allora solo, che la pallida Alfonsina dagli occhi cisposi, si decise a sputare quel po' di sangue roseo che le rimaneva nelle vene e partì un anno dopo di lui. La donna dall'abito nero
e dal ramo di corallo rosso. A M... M... Sentite ora il mio segreto, uno spaventoso segreto che mi rode l'anima. L'ho taciuto sinora per l'orrore della mia mostruosità. Ma dentro, lo spasimo mio assume mille forme, io sento due martellini battermi sul cuore mortificandolo di colpi; io ho una vite d'acciaio che mi rotea nel petto come un cavaturacciolo; io ho un migliaio di spilli ficcati sotto il cranio; io ho un chiodo confitto nella tempia dritta. Eppure, in questa lunga agonia, io non posso morire; dalla febbre il mio sangue si rinnovella, dalla tortura le mie fibre si disseccano, ma si rinvigoriscono dall'incitamento; la forza dei miei nervi si raddoppia. Morire no, non mi è concesso. Altri dovrebbero morire, meco. Scrivo il mio segreto non per sollievo perchè non ne spero, ma perchè si sappia la verità del caso mio. Sentite. Non è vero che io sia pazza; io vivo, sento, ricordo e ragiono. Quelli che mi tengono imprigionata, nel manicomio, s'ingannano. Mai ho posseduto tanta lucidità di mente, tanta solidità di cervello; mai ho contemplato con tanta serenità di dolore la mia sventura. Non sono pazza. È inutile la doccia sulla testa, il camerotto foderato di materassi, il bagno caldo, la sorveglianza continua. Questo non può guarirmi, perchè non sono pazza. Per me non ci vuole il medico, ma il prete. Deve venire il prete con il libro santo dei Vangeli, con la stola ricamata d'oro, con l'acqua benedetta. Deve leggere le preghiere per scongiurare gli spiriti maligni, mettermi sul capo la stola e aspergermi di acqua santa; deve battersi il petto, inginocchiarsi, pregare l'aiuto del Signore su me. Poichè io non sono pazza, ma qualcuno si è impossessato di me; io non sono pazza, ma qualcuno è entrato in me, vive con me. Dentro l'anima mia vi è un'altr'anima. Dentro la mia volontà vi è un'altra volontà. Dentro la mia ragione vi è un'altra ragione. Bisogna esorcizzarmi, bisogna cacciar via la mia nemica, togliermi quest'altra anima che mi riempie di terrore. Noi siamo due... Quanto tempo è che ho veduto lei, l'altra, per la prima volta? Non so, la data non potrei dirla, perchè mi sfugge. Certo era un tramonto più rosso d'autunno; io correva nelle vie infangate, affrettandomi a una casa dove qualcuno che mi amava moriva. Correvo col capo chino sotto la pioggia mormorando le parole di consolazione e di perdono prima di giungere. D'un tratto, alzando gli occhi sotto la luce rossastra di un fanale a gas, vidi camminarmi accanto una figura femminile. Era una donna di mezza statura, col volto pallido e allungato, sciupato dall'età, dalle sofferenze; ma in quel volto consumato ardevano gli occhi neri, bruciavano di sangue le labbra. Era vestita tutta di nero, il nero dei suoi occhi; portava al collo, come spillo, un ramoscello di corallo rosso come le labbra. Camminava accanto a me, guardando la terra; un sol momento mi alzò gli occhi in viso, ma li riabbassò subito. Io fui colpita da questa apparizione e distesi la mano quasi per toccarla, ma ella si allontanò rapidamente. La seguii quasi per istinto senza saper perchè, presa da necessità di andare dove andava lei, di fare quello che lei faceva. La seguii con gli occhi fissi nella sua figura bruna, raggiungendola ogni tanto per vedere quello sguardo nero e ardente, quelle labbra febbricitanti, quell'abito nero come l'occhio, quel ramo di corallo rosso come le labbra. Ella se ne andò per le strade con il suo passo ritmico, fermandosi innanzi alle mostre delle botteghe, salutando qualche creatura ignota, fermandosi a discorrere con qualche essere volgare. Io feci, dietro a lei, tutto quello che essa fece. Ella prese la via del teatro, salì le scale, entrò in un palco e si pose immediatamente a dardeggiare la folla col suo sguardo nero. Si pose subito a ridere con le sue labbra di sangue; io in un palco dirimpetto a lei, imitandola, guardai sfacciatamente la folla, e risi, risi sempre. D'un tratto ella scomparve, io m'abbandonai in un'atonia come se mi mancassero gli spiriti, poi mi risvegliai nell'amarezza saliente dei rimorsi. L'amico che m'aspettava, a cui dovevo portare le parole di consolazione e di perdono, era morto, solo, mentre io rideva al teatro. Io non amava quell'uomo. Anzi non amavo nessuno in quel tempo. La mia indifferenza in fatto di sentimento era serena: non amavo, non avevo il rimpianto dell'amore, non avevo il desiderio dell'amore. Poi quell'uomo era un essere volgare e miserabile di cui io vedeva tutta la miseria, tutta la volgarità. Il suo amore fatto di vanità, di capriccio, di puntiglio, non aveva il potere di irritarmi, ma aveva il potere di nausearmi. Le sue parole mi lasciavano inerte, le sue lettere non mi scuotevano, le sue mani che stringevano le mie non mi facevano impallidire. Odiarlo non potevo, e amarlo neppure: tutta la meschinità, tutta la bassezza del suo spirito, la misuravo. Egli, divorato dal desiderio, ch'era vanità, fremeva di rabbia, fremeva di falso amore, e pregava e scongiurava, versava lagrime di dispetto. Io mi rifiutava; tranquilla, immobile, sorridente, quasi insolente, m'immergevo sempre più in quella indifferenza che è il dono dei forti. Finchè lui un giorno, in una scena di collera, mi disse: --O domani o mai più. --Mai più--dissi io freddamente. Il domani, nel pieno meriggio d'inverno, io passeggiava nella campagna trasalendo d'emozione per la maestà del fiume che se ne andava lento al mare, per gli anemoni crescenti nell'erba umida, per i piccoli salici neri che si piegavano brulli, quasi spinosi; per gli uccelli che stridevano sul mio capo nella profondità dei cieli. Queste sensazioni giungevano squisite, soavi ai miei nervi equilibrati. Ero quieta. Quand'ecco nelle lontananze della sponda, nella gialla lucentezza meridiana, ella m'apparve col suo viso smorto, disfatto, dove vivevano soltanto i carbonchi dei suoi occhi e la bocca rossa come un granato; vestita di nero, portando al collo un ramo di corallo rosso. Questa volta non mi guardò. Tutto il mio essere sobbalzò a lei. Mentre si dirigeva lentamente alla città, io la seguii passo per passo come una bestia ubbidiente. Vedevo con paura che ella andava al luogo del convegno con quell'uomo, ma istintivamente non potevo manifestare questa paura. Vidi con spavento che quell'uomo era là, che mi aspettava, che sorrideva di orgoglio. Egli non vedeva il fantasma che gli si accostava, vedeva me che m'accostavo a lui per seguire il fantasma. --Grazie--disse l'uomo trionfante. Il fantasma sorrise dolcemente, ed io, che volevo urlare di dolore, sorrisi di dolcezza. --Tu mi ami?--chiese l'uomo. --Ti amo--mormorò il fantasma. Io, che sulle labbra mi si affollavano gli insulti, dissi a voce alta: --Ti amo. --Mi amerai sempre? --Sempre--rispose il fantasma. Io, che agonizzavo, risposi: --Sempre. --Lo giuri sulla Madonna? --Lo giuro sulla Madonna--susurrò l'ombra. Io, che avevo il terrore del sacrilegio, bestemmiai: --Lo giuro sulla Madonna. Ora mi dicono pazza. Pensate che ho trascinato due anni la catena di un amore falso e volgare, che ho mentito due anni, che ho tollerato due anni la menzogna, perchè non mi amava, come io non l'amavo. Pensate al disgusto, al ribrezzo, alla stanchezza di due anni, ai giuramenti bugiardi fatti e ricevuti, ai trasporti fittizii, ai baci inutili e fiacchi, agli entusiasmi posticci, a questa commedia piena di fango. Era per lei tutto. Per fare quello che ella faceva, per dire quello ch'ella diceva, per seguirla, per imitarla. Era l'incantesimo di questa

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Argomenti: capo chino,    volto pallido,    libro santo,    corallo rosso,    sangue roseo

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