Fior di passione di Matilde Serao pagina 28

Testo di pubblico dominio

sulla via. Lucia gittò un grido e si lasciò cadere quasi nelle braccia di Federigo, tremando. --Dio mio, tu ti ucciderai con queste emozioni...--mormorò lui, sorreggendola, dandole coraggio. --È un carro, signora--osò dire il cameriere. --Va bene, andate--disse severamente Federigo. O cordiali risate! Non le avrebbero ritrovate più. Si sentivano vivificati, rinfrescati in quel meriggio di luglio. Rimasero a discorrere di tante cose leggiadre, come nel parco, scherzando sulle maniere del mondo intiero. Fumavano, Ogni tanto il cameriere passava innanzi la porta socchiusa, senza volgersi. Essi sorridevano ancora e ripigliavano il discorso. Se ne partirono dopo un'oretta di conversazione. Si dettero il braccio scendendo le scale. Voltandosi, videro sulla porta il cameriere, il guattero, il cuoco, l'oste che li sbirciavano. E se ne andarono leggieri, riposati e quieti fra la polvere alta. All'albergo la signora Lucia dormì profondamente per tre ore. La sera non vide Federigo nello Stabia-Hall. La mattina seguente ricevette un dispaccio dal marito che la richiamava a Milano, per andare sui laghi. Cosa che le procurò una grande consolazione, poichè Castellammare cominciava ad essere noioso. Scrisse un bigliettino di congedo, ringraziandolo, a Federigo, e se ne partì affrettando l'ora del ritorno. Federigo lesse il biglietto mentre si radeva la barba, si strinse nelle spalle e andò al bagno. Per tre anni non si videro mai, non seppero nulla l'uno dell'altro. Ma la prima sera in cui si rividero, il primo momento, in un palchetto della Pergola, a Firenze, senza parlare, senza toccarsi la mano, dinanzi a molta gente, scambiarono quello sguardo ardente che rimescola il sangue e per cui due vite s'uniscono. E fu una spaventosa tempesta la passione che li travolse. Ritratto di donna. A voi non piacciono i ritratti di donna. Dite che sono inutili, non mi avete mai voluto dire il colore dei capelli della vostra prima innamorata, nè descrivere la linea del naso della vostra penultima. Ma quando la persona di cui voglio farvi il ritratto passava in carrozza, voi vi fermavate sul marciapiede, guardandola, senza salutarla, con le palpebre battenti, le braccia prosciolte, lasciandovi urtare dai viandanti; quando la persona compariva in un palchetto di teatro, voi dalla platea, voltavate tranquillamente le spalle alla scena, per guardare lei, inconscio, dimentico di ogni altra cosa. Oggi io ho la voglia di tormentare la vostra amicizia, facendovi il ritratto di quella donna. Una principessa: eppure nessuno di voi ha visto sulla sua testa la corona principesca. È una corona pesante, carica di gemme, di forma poco elegante, difficile ad adattarsi con grazia. La ragione segreta era nella testa un po' grossa della principessa. Non era punto un difetto e lei sollevava il capo con alterigia, ma desiderava nel fondo dell'anima una di quelle teste piccine e schiacciate da vipere. Così non portava mai nastri, mai piume, mai pettini, mai spilloni di brillanti nei capelli: ed i fiori, a grandi gruppi, li appuntava sotto l'orecchio, lasciando che strisciassero sulla nuca, che strisciassero sul collo, producendole un piccolo solletico che le faceva socchiudere gli occhi. Per lo più i fiori erano rossi; quelle rose violente, a bocciuoli stretti, quasi a vita condensata; quei papaveri rossi e leggieri; quelle fucsie della passione cascante, già morente. Rossi i fiori, poichè i capelli erano neri, di un nero senza lucido, appannato, di carbone: capelli arruffati che gonfiavano nelle treccie, che piovevano sulla fronte. Invano il principe chiedeva ogni due giorni alla principessa che dominasse, che regolasse un poco quell'arruffio di capelli sulla fronte. La principessa, che adorava il bellissimo e stupido principe, cercava di moderare la propria selvaggia capigliatura, ma non ci riusciva. Pure quel disordine era seducentissimo, mettendo contorni irregolari intorno a quella testa, e lasciando cadere ombre singolari su quel volto. La principessa era bruna, molto bruna nella faccia, nel volto, nelle spalle, nelle braccia. Lo sapeva e non si scollacciava mai negli abiti azzurri, verdi o violetti. Portava gli abiti montanti in raso bianco-latte, o in raso giallino, ora col lungo ed alto colletto alla Medici, ora con certe immense cravatte di merletto che la immergevano in una nuvola di trine. Ma una sera, per far dispetto a certe amiche che avevano detto esserle impossibile l'abito scollacciato, venne al teatro con un abito scollato di raso rosso, quasi senza maniche, con un'audacia tranquilla ed irresistibile. L'abito era corruscante, il busto splendido. Nessuno osò dire nulla, poichè tutti sapevano che la principessa era profondamente virtuosa. Nessuno si accorgeva che ella si tingeva lievemente gli occhi. Aveva gli occhi grigi, molto luminosi e grandi: ma quando ella si turbava, per uno strano effetto, gli occhi si facevano di un azzurro-carico, quasi cupo. Qualcuno, di sera, diceva che ella aveva gli occhi neri: cambiamenti pericolosi che moltiplicano la potenza di uno sguardo. Quella piccola tinta di bistro, segreto orientale, con cui accentuava questo sguardo era messa con sapienza artistica: sebbene la principessa nulla sapesse di arte e odiasse specialmente la scultura, la pittura e la poesia. Comprendeva solo la musica, senza dirlo. Aveva due sguardi: l'uno dritto, fermo, duro, come una domanda imperiosa; l'altro cadeva dall'alto, quasi filtrato attraverso l'anima, un po' errante, con uno smarrimento giovanile, senza calore, ma dolcissimo. La principessa aveva ventiquattro anni e dicevano che in casa passasse rapidamente dalla bontà più larga ad una indifferenza completa. Il suo sguardo imperioso andava d'accordo con la linea orgogliosa e nobilesca di un naso aquilino. Era un naso ben piantato, la cui radice spianava armoniosamente l'arco delle sopracciglia, un naso forte, dalle nari colorite ma senza fremiti. Quella linea fiera di profilo dava un carattere a tutta la fisonomia: carattere di superbia calma e solida, aristocrazia senza derogazioni, sangue puro, blasone splendido, nome altissimo. Anzi, non vi erano altri eredi del nome, poichè la principessa in tre anni di matrimonio non aveva avuto figli. Si aspettavano. Ma nessuno gliene parlava, poichè la principessa rizzava il capo, aggrottava le sopracciglia e tutta la sua fisonomia si chiudeva, s'induriva nello sdegno. Però anche in questi momenti, la bocca rimaneva fresca, viva, divina. Vi ricordate? Aveva quel bellissimo difetto del labbro superiore un po' corto, quasi tirato in mezzo, graziosamente, infantilmente sollevato, lasciando un po' vedere i denti. Non si comprendeva bene il disegno della bocca, ma sembrava purissimo, di un rosso garofanato, tutto vivace, tutto rigoglioso come un fiore pieno di vita. Ebbene, vi era anche questo di bizzarro: che quando la principessa guardava col suo sguardo freddo e laminoso, con lo sguardo diritto ed orgoglioso, allora le labbra si ammorbidivano nel sorriso--e quando il suo sguardo si faceva dolce, vagabondando come in cerca d'immagini, allora la bocca non sorrideva più. Singolare e perenne contraddizione fra la parte superiore e la inferiore del volto. Veniva voglia di baciarle le labbra, coprendole con la mano gli occhi--o si provava il desiderio di guardarla sino nell'anima, nascondendole la bocca. Ma nessuno ancora aveva osato esprimere questi audaci desiderii. Nascevano gli amori, ma non trovavano la forma per manifestarsi. Non si conosceva ancora troppo bene la principessa: e troppo i suoi lineamenti si urtavano fra loro, nella espressione. Lei aveva il mento energico, che le allungava il volto e dava un pensiero a tutta la fisonomia: quel mento là era impeccabile. Ma la linea con cui il colle si attaccava alle spalle era molle, e lei, nelle sere in cui si scollacciava, non portava mai un filo di brillanti, nè vezzo di perle, nè nastrino di velluto. Quella mollezza era una confessione inconsciente? Fra venti giovanotti che le avrebbero fatto

Tag: principessa    sguardo    uno    occhi    nessuno    capelli    linea    naso    sera    

Argomenti: due vite,    labbro superiore,    piccolo solletico,    alto colletto,    sguardo imperioso

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