Fior di passione di Matilde Serao pagina 8

Testo di pubblico dominio

parlamentava con donna Cariclea e col parroco: e era inutile, non vi era nulla, nulla. Ma un clamore venne dal cortile: i Garibaldini avevano scoperto la cucina e il caldaione degli gnocchi. --Ah, Borbonici, canaglia! Avevate da mangiare e ce lo negavate! Borbonici della malora, che vi porti via il diavolo! Ma fra quelle voci irritate, furiose, una vocina sorse: --Viva Garibaldi! La piccolina, in mezzo ai Garibaldini, agitava il suo cappelluccio col pomo di seta tricolore. Mentre la baciavano, levandola su, in trionfo, ella strillava sempre. La madre piangeva. Il cannoneggiamento cominciò alle tre del pomeriggio. Ventaroli è sulla collina, l'eco dei cannoni vi si ripercuoteva fortemente. Donna Cariclea era salita sopra una torricella, donde si vedeva tutta la valle: ma nulla si scorgeva. Dove si battevano? Con che esito? Era impossibile saper nulla, I quaranta Garibaldini erano andati via, allegramente, dopo aver pranzato, coi loro scarponi rotti, coi loro vecchi fucili: e tutte le case di Ventaroli si erano chiuse, i portoni erano sbarrati. Quando cominciò il cannone, Pasqualina Cresce, che aveva paura dei tuoni, si era ficcata col capo sotto i cuscini; il vecchio Nicola Bonelli, che era stato al fuoco, tendeva l'orecchio per sentire onde venisse: e la sorella dell'emigrato, Rosina, una fiera donna, era venuta nello stanzone e aveva accese due altre candele alla Vergine, per conto suo, perchè vincessero i Garibaldini. Donna Cariclea fremeva: invano aguzzava gli occhi, sulla torricella, ma non un'anima passava nella valle, non un carro, non un contadino, un deserto, un paese morto. Il cannone si arrestava, talvolta, per cinque minuti, ma dopo riprendeva con più vigore. Stette tre ore, lassù, sino all'imbrunire. E sempre il cannone: talvolta allegro, talvolta lungo e lugubre. Poi tacque. Era notte. Nessuna notizia. Era perduta o salvata la patria? Ma don Ottaviano, le vecchie zie, le giovani spose, le serve erano stanche di quella tremenda giornata; e malgrado il terrore dell'indomani, malgrado la suprema incertezza, che era anche un supremo pericolo, andarono a dormire. Donna Cariclea si ritirò nella sua stanzuccia, che era proprio sopra l'arco del portone. Aveva appena appena congiunte le mani della piccolina per la preghiera della sera, quando, nel silenzio profondo del villaggio, si udì un galoppo di cavallo: veniva verso la casa. E subito dopo un fievole colpo di martello risuonò. Donna Cariclea trasalì. Che doveva fare? Si affacciò senza far rumore alla finestra: nell'ombra si vedeva un cavallo e un cavaliere, ma non si distingueva altro. Erano immobili, aspettavano. Ma passò qualche minuto: il cavaliere non suonò di nuovo, aspettando, pazientemente. --Chi sarà mai?--pensava donna Cariclea, tutta trepidante. E richiuse la finestra, senza far rumore. Ma quel cavaliere, là, innanzi al portone, nella notte, le dava tormento. Riaprì, domandò, sottovoce: --Chi è? --Sono io--disse una nota voce. --Voi, maggiore? --Aprite, signora, per carità! Ella prese un lume, attraversò due o tre stanze, scese por le scale, andò a tirare i grossi catenacci. Silenziosamente, il maggiore era disceso da cavallo e se lo trasse dietro, nel cortile: lo legò a un anello di ferro. La signora andava innanzi e il maggiore dietro: quando furono nella stanzetta, il maggiore le fece cenno di chiudere la porta, a chiave. La bimba, già a letto, guardava tutto questo con un par d'occhioni spaventati. --Signora--disse il maggiore--io sono nelle vostre mani. Ella lo guardò, sgomenta. L'ufficiale svizzero era in uniforme, tutto gallonato, tutto scintillante di oro: ma teneva il capo abbassato sul petto. --Che avete fatto?--chiese ella, duramente. --Sono scappato, signora. Fuggo da tre ore: due ore siamo stati nascosti in una macchia, il mio cavallo e io. --Non avete preso parte alla battaglia? --No, signora, vi dico che sono scappato. --E perchè?--chiese ella a quel colosso. --Perchè avevo paura--disse lui, semplicemente. --Oh!--fece soltanto lei, celandosi il volto per ribrezzo. --Avete ragione--disse lui, umilmente.--Ma la paura non si vince: sono fuggito. --Non vi vergognate, non vi vergognate?--chiese ella, tremando di emozione. Egli non rispose. Si vergognava, forse. Stava buttato sulla sedia, grande corpo accasciato dalla viltà. --E i vostri soldati? --Chissà!--disse il maggiore, levando le spalle. --Chi ha vinto, dunque? --Non lo so. Avranno vinto gli Italiani, forse. --E siete fuggito? --Già. Vi ripeto, avevo paura. Che m'importa della battaglia? Voi dovete salvarmi, signora. --Io? --Sì. Dovete farmi fuggire. Voglio ritornare a Napoli, in sicurezza. Ho famiglia, io: ho figli io, che me ne importa di Francesco II? Salvatemi, signora, ve ne scongiuro. --E perchè dovrei farlo? --Perchè siete donna, perchè siete buona, perchè anche voi avete una figlia.... e capite... --Siete un nemico, voi. --V'ingannate, sono un disertore. --Ebbene? --Significa che io temo egualmente i Borbonici, come i Garibaldini. Se mi trovano i vostri, sono un nemico, e mi fucilano: se mi trovano i Borbonici, sono un disertore, e mi fucilano. Ecco perchè vi chieggo di salvarmi. --Se rientrate a Napoli, vi fucileranno. --Garibaldi è buono--disse umilmente il maggiore svizzero. --È una vergogna--ripetette lei, duramente. --Lo so: ma che posso farci? Salvatemi voi. --Stamane avreste lasciato morire la mia bambina. --Che potevo fare? --Eppure il re contava su voialtri! Che uomini siete, dunque? --O signora mia, per carità, non ne parliamo: se avete viscere di madre, trovatemi un mezzo per fuggire. --Io non ne ho. --Lasciatemi stare qua, in questa stanza. --Se vi ci trovano, siamo perduti tutti. --È vero--disse lui, dolorosamente. La bambina aveva ascoltato tutto il discorso, guardando ora sua madre, ora il maggiore. Adesso, ambedue tacevano. Egli era immerso nel più profondo avvilimento: ella era combattuta da tanti sentimenti diversi. --Ho anch'io un bimbo di questa età--mormorò il maggiore.--Non lo vedrò più, forse. --Aspettatemi qui--disse donna Cariclea, decidendosi. E uscì. Il maggiore si era inginocchiato vicino al letto e aveva baciata la piccolina. Donna Cariclea tardava. Alla fine, muta, lieve come un'ombra, ritornò. Portava un involto di panni: --Smorzerò il lume--disse, con voce breve, superando ogni ritrosia di donna--toglietevi l'uniforme e mettete questi abiti. Così fece. Dopo pochi momenti ella riaccese il lume: il maggiore era vestito da contadino e l'uniforme giaceva per terra. Egli se ne stava tutto umile, tutto contrito. --Bisogna nascondere quest'uniforme e questa spada--disse lui:--trovandosi, sareste perduta. --È vero--disse lei.--Spezzate dunque la spada. Senza esitare, egli tentò di spezzare la spada sul ginocchio. Ma la buona lama resisteva. Alla fine, con la tensione dei suoi muscoli robusti, la spezzò. --Scucite i galloni dall'uniforme--ordinò donna Cariclea. Pazientemente, il maggiore strappò i galloni del suo uniforme. Ella raccolse tutto. --Andiamo a buttarli via. Egli la seguì per le scale; essa lo guidava con un fioco cerino. Scesero nel cortile: macchinalmente, ella buttò i frammenti della spada nel profondo pozzo, che era in mezzo al cortile. Il maggiore sospirò di sollievo. Poi passarono vicino alla conserva dell'olio: ella vi buttò l'uniforme disadorno di galloni. Alla fine passando presso un mucchio di letame, ella vi buttò i galloni, rivoltandoli con una pala, per farli andare sotto. --Dio mio, ti ringrazio!--esclamò il maggiore.--E il cavallo, che facciamo del cavallo? Se lo trovano, siamo perduti. --È vero--mormorò lui.--Bisogna farlo scomparire. Ora lo ammazzo. --Con che? --Non ho armi, è vero. Andarono presso il cavallo. La buona bestia nitrì: il maggiore fremette di paura. Poi, sciolse le redini dall'anello, trasse il cavallo fuori del portone e richiuse il portone. Stettero a sentire, il maggiore e donna Cariclea. Per un pezzo il cavallo scalpitò sulla soglia, battè col capo contro il legno della

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Argomenti: due ore,    silenzio profondo,    grande corpo,    fievole colpo

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