Romanzo d'una signorina per bene di Anna Vertua Gentile pagina 16

Testo di pubblico dominio

buoni e forti!—susurrò. Il pensiero le corse a Teresa, la sorella del povero Cecchino. La vide in convento, sorridente sotto la cuffia nera che le nascondeva i capelli d'oro, pietosa con gli infermi che avevano bisogno delle sue cure, lieta nell'idea di Dio. C'era un gran silenzio intorno. L'aria calda e chiara pesava su 'l terrazzo e su le piante sgocciolanti del giardinetto. Il mare non mandava alito. Dopo la breve collera, quasi lotta momentanea fra esso e il cielo, ora tremolava nella sua vampa azzurra. Suonavano le ore al campanile della parrocchia. Quello squillo argentino riportò ad un tratto la fanciulla al tempo della sua infanzia, quando c'era la mamma, ancora non erano fabbricati il villino in città e la villa su 'l lago, e lì si passava l'estate, nella intimità soave, nella onesta, cara semplicità di borghesi appena agiati. La campana ripetè i due tocchi argentini. Era quella l'ora in cui, bambina, ella andava a la chiesa con la mamma per la perdonanza, come diceva lei. Le venne il desiderio di ritornare a la dolce abitudine; volle andare in chiesa. Entrò in salottino, mise il cappello e uscì. La chiesa era vicina; a un cento di passi; vi si andava per una viuzza chiusa ai lati da due siepi di caprifoglio. Gli scriccioli saltellavano tra le fronde, si cacciavano nel folto, sbucavano fuori pigolando. Nel giardino del parroco, al di là della siepe, un usignuolo gorgheggiava. Alcune galline prataiuole, beccuzzavano starnazzando lungo la viuzza; una chioccia, accucciata a l'ombra della siepe, chioccolava ai pulcini raccolti sotto le ale, le sue prime lezioni di prudenza. Il verde, lavato dalla piova, spiccava fresco e luccicante. L'abbaiare di qualche cane, il muggire, in lontananza, di qualche vacca, qualche grido di fanciullo e lo scrosciare stanco dell'onda morta su la ghiaia, erano i soli suoni che rompessero il silenzio di quell'ora, in quel luogo. I bagnanti quel giorno, come succedeva sempre nei dì di cattivo tempo che l'acqua era fredda e non si potevano far bagni, dovevano essere raccolti nei salotti dello stabilimento, a leggere, conversare, flirteggiare, far musica e magari quattro salti. A passeggiare non c'era pericolo che uscissero in quell'ora calda, con il suolo bagnato che i piedi si infangavano e bisognava camminare sollevando le sottane da terra. Nella sicurezza di non incontrare nessuno, Lucia tirava via spigliata, lieta di trovarsi sola, di non essere seccata nella solitudine cara, necessaria al suo stato d'animo. Davanti a la chiesa, il viottolo si apriva in una piazzetta folta di piante da cui pioveva la luce d'oro riempiendo il suolo ombreggiato, di allegre macchie tremolanti. Presso il tronco d'una pianta, un fanciullo sgambucciato, vestito solo d'un paio di calzoncini e d'una camicia greggia, dormiva boccone, con la testa poggiata su le braccia incrociate. Alcuni piccioni scesero frullando attraverso il fogliame e presero a beccuzzare. Un bel maschio dalle ali e il collo di un cupo azzurro metallico cangiante a la luce, con vezzosi movimenti girava intorno a una femmina bianca, tubando le sue lusinghe amorose. Un gattone soriano accovacciato, con il muso fra le zampe anteriori, l'atteggiamento felino da predatore, spiava inutilmente il saltellare di alcuni passeri arditi e pronti al volo. Alcune cicale stridevano al sole la loro canzone monotona; da oziose. Lucia entrò nella chiesuola deserta, illuminata da una semi-luce rossastra. Si inginocchiò davanti a l'altare della Madonna, si raccolse nella preghiera. Nella fede e nell'amore, o piuttosto nell'amore credente, cercò conforto, cercò un sollievo al peso delle cure. Ci sono momenti nella vita, in cui una provvidenziale chiaroveggenza dello spirito, inspira, per così dire, una inconscia diffidenza, quasi ripugnanza della gente e spinge verso la bontà, la potenza suprema e fa che solo nell'idea grandiosa ci si affidi e abbandoni. Lucia, che soffriva crudamente della ruina del padre, che misurava le conseguenze di quei momenti di delirio, quasi pazzia, che presentiva l'avvilimento e lo schianto che ne dovevano essere la conseguenza, colpita nella tenerezza, nel rispetto figliale, si trovava in uno di questi momenti; non sperava nulla dagli uomini; anzi ne temeva le volgari, piccole passioni; diceva i suoi dolori a la Madonna; fidava in Dio. Sempre inginocchiala, sempre fissa nella soave immagine che le sorrideva quasi a incoraggiarla, non sentì lo scricchiolio d'un passo, fuori, sulla ghiaia della piazzetta, non si accorse dello Svarzi. che dalla soglia della chiesuola la stava guardando con occhi intensi. Si scosse e rivolse all'improvviso abbaiare d'un cane, e vide il giovine. La dolcezza di quel momento di astrazione, le fuggì tosto dall'anima per lasciar luogo a un subito sentimento di sdegno, di mortificazione e ribellione insieme. Fino lì, fino in chiesa, la veniva a tormentare ed offendere quell'antipatico, quel vigliacco!… Si era davvero proposto di comprometterla, di farla andare su le bocche di tutti, forse di meritarle la disapprovazione, il disprezzo dei lontani! Rivide improvvisamente l'espressione di muto rimprovero che aveva sorpreso su 'l volto dell'ingegnere Del Pozzo quel giorno, a Milano, quando l'aveva veduta uscire dal salottino insieme con lo Svarzi. Un'onda, gonfia d'amarezza e sconforto, le riempì il cuore. «Forse—pensò—egli sa già; e crede che io accolga e gradisca gli omaggi di questo sfacciato; forse crede che mi lasci attirare dalle sue ricchezze, adesso che sono povera! Una vampa le scottò il cervello a questo pensiero. Con gli occhi accigliati e su la bocca una piega amara, si alzò ed uscì, passando dinanzi alla Svarzi senza neppure guardarlo. Ma egli non si lasciò intimorire da quell'aria di sussiego e repulsione. La passionaccia ignobile che gli serpeggiava nel sangue, non soffriva certo delicature. Le si pose di fianco; volle accompagnarla ad ogni costo, qualunque fossero la via, e gli scorciatoi che ella prendesse. E l'accompagnò in silenzio, mentre ella, senza mai rivolgergli nè una parola, nè uno sguardo, camminava frettolosa verso casa. Vi si trovò repentinamente di fronte dopo una brusca scantonata, ed ebbe a trasalire vedendo ritto su la porta, insieme con Bortolo e Adele, l'ingegnere Del Pozzo. Un violento sussulto le fece tremare il cuore in petto leggendo subito negli occhi chiari dell'ingegnere una disgustosa sorpresa. «Signorina!—disse l'ingegnere con voce un po' velata, inchinandosele dinanzi con il cappello in mano.—Sua zia mi manda qui per parlarle di affari!… Se ha la cortesia di ricevermi, mi sbrigherò presto. Devo tosto ripartire per Milano. Disse senza badare allo Svarzi, come non fosse stato lì. Lasciò passare la fanciulla, che entrò in casa tutta pallida e agitatissima, e la seguì. Nel salottino, aperto su 'l terrazzo al grandioso spettacolo del mare immenso, a la luce splendida, a l'aria profumata, seduti l'uno di fronte all'altra, Lucia con l'anima sconvolta da avvilimento e dolore, ascoltò per un quarto d'ora e più il conte Anton Mario Del Pozzo, che dignitosamente, freddamente, per incarico della signora Marta, la metteva al corrente degli affari della casa. * * * Come il conte Anton Mario del Pozzo se ne fu andato, impaziente di arrivare in tempo a la corsa, dopo di averle a pena sfiorato la mano ch'ella timidamente gli porgeva ringraziandolo, Lucia se ne stette con un gran freddo in cuore e un molesto formicolio nelle orecchie. Se ne stette a guardar fuori la veduta superba, senza vedere; perduta in uno smarrimento angoscioso. La richiamò a sè il fischio acuto del treno in partenza; il treno che portava a Milano il Del Pozzo. Ricordò le sue parole, l'espressione de' suoi occhi, quasi severa, il saluto freddo, il freddissimo modo con cui le aveva preso la mano. Si guardò le dita affusolate e bianche della destra, che risentivano il contatto della mano di lui, che fremevano del desiderio d'una stretta. Inconsapevolmente se le portò a le labbra, le

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Argomenti: soave immagine,    violento sussulto,    grandioso spettacolo,    fischio acuto,    squillo argentino

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