Romanzo d'una signorina per bene di Anna Vertua Gentile pagina 21

Testo di pubblico dominio

vorrei vedere… il signor Del
Pozzo!—disse. E svenne.
*
* *
La notte era splendida; non ci mancava nulla; nè pure la luna che batteva la sua mite luce bianca su 'l mare tranquillo. La festa vagheggiata dai bagnanti non poteva a meno di riuscire splendida. In fatti su l'acqua, a poca distanza dalla riva, perchè lo spettacolo fosse veduto e goduto da tutti, i vaporetti, le barche illuminate, spiccavano pittorescamente. Si trattava d'una serenata in mare. Sopra un vapore era tutta un'orchestra formata dagli stessi bagnanti. Una signora suonava il piano, un'altra il mandolino, una terza la chitarra; completavano il resto dell'orchestra parecchi giovinotti dilettanti. Lungo la spiaggia, e su per gli scogli, a gruppi, a capannelli, erano le persone accorse al fantastico spettacolo. Pochi i curiosi poveri, già a letto a riposare delle fatiche della giornata; moltissimi i signori e le signore in gran sfarzo. E la musica si diffondeva per l'aria, soave come una carezza, eccitando gli animi a manifestazioni di simpatia, dando agli sguardi languide espressioni, alle mani desideri di strette amorose. Le signorine Marri, in una barchetta illuminata da palloncini colorati, disposti a festoni, tutto intorno, godevano dello spettacolo, godevano della musica, e si lasciavano corteggiare con poetico abbandono. Mai non avevano rivolti gli occhi a un punto conosciuto della spiaggia, a la casetta della scogliera, al tremolante fievole lume, che veniva da una di quelle finestre. Mai, in quella sera, il pensiero della povera amica malata, forse morente, era venuto a turbare il loro piacere. Da tutta quella gente, che avevano ammirato, corteggiato e invidiata la bella signorina Ferretti, nella gioia di quell'ora, nell'estasi di quella musica, fra il mare luccicante al chiaro di luna e il cielo fitto di stelle, non si staccava un sentimento di mesta tenerezza per l'assente inferma. Nessuno pensava che i suoni soavi, dovessero in quel momento giungere là ove si celebrava una mesta, dolorosa funzione, ove si svolgeva una scena pietosa. Lucia aveva voluto il prete, presto, subito, in tanto che si sentiva in sè. E il prete aveva avuto tempo di confessarla e comunicarla, prima che si assopisse di nuovo. «Ora posso andare dalla mamma!—aveva bisbigliato la poverina oppressa dalla lieve fatica, chiudendo gli occhi, ricadendo nell'assopimento. E nell'assopimento sorrideva. Vedeva la mamma scendere dall'alto in mezzo a una luce d'oro; si sentiva chiamare a nome; un coro d'angeli la circondava facendole in torno una musica dolcissima, paradisiale. Oh come scendeva al cuore quella musica! quale calma metteva ne' suoi poveri nervi eccitati! «Lucia! Lucia! Era una voce sommessa e piangente che la chiamava. «Lucia! cara, povera fanciulla! Chi le diceva cara?… chi la chiamava povera fanciulla? Era la mamma? erano gli angeli in coro? Che dolcezza in quella voce, che soavità in quel nome! «Lucia! Lucia! Una mano fresca e leggiera le si era posata su la fronte. Come le faceva bene il contatto di quella mano! Ad un tratto, la musica cessò. Scoppiarono gli applausi dai vaporetti, dalle barche, dalla spiaggia; un battere di mani fragoroso, un gridar «bravi» a tutto spiano. La malata si rabbruscò in volto, stendendo le braccia a la cara visione che le sfuggiva e che avrebbe voluto trattenere. «No! No!—supplicò in un susurro. E dopo un istante di abbattimento, tornò al delirio doloroso. «Via! Via!… vigliacco! Si agitava facendo l'atto di disvincolarsi, di fuggire. Un braccio le passò delicatamente dietro il capo che si abbandonò sopra un petto palpitante. Parve tranquillarsi in quella posizione. Mormorò in un soffio: «Come sono severi quagli occhi chiari!.. come sono pieni di rimprovero!… Mi disprezza e io lo amo! lo amo! «Lucia! Era tanto strazio, tanta passione in questo grido dell'anima, che la malata aperse lentamente le palpebre e guardò. Gli occhi chiari, aperti, spauriti, gonfi di lagrime, la fissavano con tenerezza, con passione; più non erano severi, più non esprimevano rimprovero. La fanciulla sorrise, come in sogno, non staccando lo sguardo da quegli occhi, che la supplicavano di riposare, di dormire, imponendole una volontà che veniva dall'amore. E cadde nel sonno; un sonno calmo e riparatore, che permise al prete di ritirarsi rassicurato, che fece strabiliare il vecchio medico. I vaporetti, le barche, raccolte per la serenata, tornando a riva passarono dinanzi a la casetta dello scoglio. La luce dei palloncini colorati entrò nella camera dell'inferma illuminandola fantasticamente. Presso il letto, suor Teresa, inginocchiata, con la testa nelle mani, pregava. Il medico, con il capo sporgente sopra la malata, ne spiava con ansia il respiro ormai regolare. Presso lui un giovine signore, alto, bruno, dagli occhi chiari, stentava a vincere l'emozione, che gli faceva nodo a la gola. Il vecchio Bortolo piangeva nello sguancio dell'ultima finestra; Adele, confortata dalla speranza, si dava in torno leggera a far ordine. I vaporetti e le barche della serenata, toccando riva, diedero il saluto al mare, a la notte stellata, con una mesta barcarola suonata con maestria. E la dolce musica fece sorridere la fanciulla addormentata, cullandola nel sogno d'amore che la rendeva felice. * * * Ai primi bagliori del mattino, suor Teresa spense la lucernetta e si fece a la finestra di fondo, che il medico aveva ordinato fosse sempre aperta per lasciar entrare liberamente l'aria marina. Dal mare fumava un tenue vapore bianco che si andava inalzando in forme capricciose nella luce rosea e si perdeva nel vuoto. Su l'orizzonte, la luna e le ultime stelle, svanivano nella luce mattinale. Il silenzio era rotto dallo scrosciare stanco dell'onda su la spiaggia. Un usignuolo gorgheggiava a poca distanza, nel folto d'una pianta. Suor Teresa con gli occhi sgranati guardava ammirata lo spettacolo che le si spiegava dinanzi. Mai, nella sua povera vita, aveva goduto di tali grandiose bellezze. L'immensità del mare le metteva in cuore la commozione; elevava il suo sentimento, la faceva pensare al povero Cecchino. Le pareva che là, attraverso lo spazio, fra acqua e cielo, il suo e lo spirito del fratello, meglio potessero congiungersi e comprendersi; le pareva che la preghiera di lì volasse al cielo più pura e fosse meglio accetta. Ci sono momenti in cui l'idea di Dio, che popola i luoghi solitari, rimargina le cicatrici delle nostre sciagure e dei nostri disinganni, innalza, il sentimento con un fremito soavissimo. Suor Teresa si prostrò davanti a la bellezza sublime della veduta che le stava davanti agli occhi; e, con uno slancio di riconoscenza, susurrò una fervida preghiera. Che cosa sarebbe stato di lei se Dio non avesse avuto pietà della sua giovinezza abbandonata, se non le avesse mandato un angelo a trarla dalla via della perdizione, ad aprirle le porte dell'asilo sicuro e santo!… Forse Iddio aveva voluto con sè in Paradiso, il suo fratellino, per risparmiare a lui i dolori della vita, per accordare a lei la possibilità dell'espiazione!.. il Signore sa lui quello che fa, e fa sempre per il bene. Con le mani giunte, il volto supino, gli occhi nell'aria d'un azzurro rosato, suor Teresa pregava. Era tutto uno slancio di riconoscenza verso la bontà suprema; era una fervente invocazione per la guarigione e la felicità della malata; il suo angelo pietoso. Si alzò di scatto a sentirsi chiamare a nome. Lucia, con il capo staccato dai guanciali, le mani puntate su la rimboccatura, la guardava con i grandi occhi scuri cerchiati di livido. «Suor Teresa! Si riadagiò subito, affievolita dal lieve sforzo; rinchiuse gli occhi che male sostenevano la languida luce, e disse i suoi sentimenti a frasi spezzate; in un soffio. Aveva desiderato, aveva sperato che Dio la prendesse con sè. Il suo papà avrebbe ereditato il poco che possedeva e non sarebbe stato costretto a lavorare sotto gli altri. Ma il Signore non la voleva. Sentiva che

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Argomenti: mite luce,    sonno calmo,    dolce musica,    tenue vapore,    vapore bianco

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