Romanzo d'una signorina per bene di Anna Vertua Gentile pagina 3

Testo di pubblico dominio

s'inchinò con freddo rispetto dinanzi alle tre signore e uscì chiamando Adele ad alta voce. Dopo un momento, zia Marta e le sue amiche videro al di là del tendone che l'aria sollevava, la signorina Lucia, che trotterellava spedita a la volta del centro della città, insieme con la cameriera. «Ecco il frutto dell'educazione d'oggi!… lamentò la signora Marta.—Mio fratello che lascia fare; quella signora Lena che si è piaciuta di svegliare nell'anima, della sua allieva il fatale spirito dell'indipendenza e la forza di volontà, che si ribella a tutto e a tutti, e di nutrirla di certe teorie strambe, da vero fin de siècle. La signora Aurora, con un sospirone, approvò le parole dell'amica. E sua sorella gemette: «Il mondo s'è cambiato!… Dio sa che cosa ci si prepara!… Non c'è più sommissione, non c'è più rispetto, non c'è più differenza fra gente e gente!… Anche le persone per bene si danno al socialismo! E susurrò a fior di labbra queste parole che la terrorizzavano! * * * Finito di desinare, il signor Pippo Ferretti, il ricco industriale, come di solito, fece la sua toeletta della sera, e prima di uscire salutò la sorella e baciò in fronte la figliuola, che lo accompagnò fino all'ingresso della portineria; un amore di casetta svizzera. «Non ti annoi troppo a restar qui con la zia?—le chiese il babbo. Era la domanda che egli le faceva ogni sera, quasi a sgravio della propria coscienza, certo di sentirsi rispondere di no, certissimo della bugia generosa che era in quel no. Ma tranquillava la propria coscienza e scusava sè stesso, dicendosi, che dopo una giornata di lavoro, un uomo ha pur diritto a qualche ora di svago, a un po' di libertà, al soddisfacimento di qualche desiderio; e poi riposava nella convinzione, che sua figlia sarebbe stata incapace di imporre a lui un sacrificio; che anzi un sacrificio suo non l'avrebbe voluto a nessun costo, che le avrebbe guastato ogni piacere solo il supporto. Del resto, qualche volta, egli la conduceva a teatro insieme con la zia, la sua figliuola; in casa si ricevevano spesso gli amici la sera, e non di rado si davano serate e trattenimenti. «Non ti annoi troppo a restar sola con la zia?—ripetè ancora quella sera il signor Pippo. Lucia gli rispose come di solito, sorridendo e aggiustandogli nell'occhiello del soprabito chiaro, la cardenia profumata. «Sei un papà ancora giovine e bello!.. bada!—gli disse minacciandolo con la manina. Egli rise ringalluzzito, e arrossendo lievemente; baciò un'altra volta la figliuola e uscì. Il signor Pippo Ferretti era davvero un bell'uomo; di media statura, ben piantato, con i baffi tutt'ora biondi e i capelli appena brizzolati su le tempia, portava su 'l volto dai lineamenti regolari, l'espressione dell'uomo soddisfatto di sè. Lucia amava e stimava il suo papà; l'uomo che aveva voluto ed era riuscito; il povero figliuolo d'un barcaiuolo del lago di Como, che, a forza di stenti, era riuscito a studiare, a metter su fabbrica, a farsi brillante strada nella vita!… Una cosa però la urtava in lui; ed era la smania dello sfoggio, della pompa, che la povera mamma, figlia d'un avvocato con pochi mezzi, gli aveva parecchie volte rimproverato; lei, che amava la vita semplice, intima; che riponeva ogni felicità nell'affetto, nella famiglia. Oh come Lucia la ricordava la sua povera mamma, che le era morta quando ella non era ancora entrata ne' dieci anni… Una signora piuttosto piccola, bruna, dal soave sorriso; Adele, diceva di lei che era una santa; e Bortolo il vecchio servitore, che l'aveva vista nascere e l'aveva seguita sposa nella nuova casa, non ne poteva parlare senza che le lagrime gli inumidissero gli occhi. La sua povera mamma era contraria a l'idea di quel villino civettuolo e costoso; ella abborriva da tutto ciò che potesse attirare l'attenzione; era una aristocratica del sentimento. E in quel villino ove era venuta a malincuore, era poi morta dopo soli due anni, povera cara!.. E ora giaceva seppellita nel cimitero del villaggio ove era nata e cresciuta, lungo la spiaggia Ligure. Era morta in piena coscienza di sè, rassegnata, tranquilla, dopo che Lena, la figliuola d'una sua amica d'infanzia, era accorsa al suo appello promettendole che avrebbe fatto da madre a la sua piccola Lucia. «Ah Lena!… hai mancato a la tua promessa, per orgoglio!—mormorò a l'aria fosca della sera la fanciulla, che dopo la partenza del padre, si era fermata in giardino, ritta contro il muriciuolo, le dita intrecciate nell'inferriata del cancello, lo sguardo vagante. Poteva star lì finchè voleva. La zia, dopo pranzo, appisolava per un'ora e più; e non c'era sugo stare a vederla ciondolare il capo e lasciarlo piombare su 'l petto con un russare faticoso di persona ben rimpinza di cibi succolenti. No; non c'era sugo. Era meglio star lì a respirare una boccata d'aria, a veder passare ogni tanto qualche persona, a conversare con Wise. «Non è vero Wise? che è meglio star qui con te, che mi capisci e mi vuoi bene?… Buon Wise!… Bravo Wise! «Bub! bub! Il cane rispondeva abbaiando, scodinzolando, lambendo la mano della padroncina, dell'amica. Le si strofinava intorno quasi a farle intendere che le voleva bene davvero; oh quanto! «Wise! buon Wise!… tu mi vuoi bene, lo so! e te ne voglio anch'io, sai, molto!… È così difficile essere voluti bene davvero!… così difficile!… così difficile! «Bub! bub! L'abbaiare finiva in un guaito, quasi in un gemito. Si sarebbe detto che la bestia fedele e intelligente leggesse nel cuore della fanciulla. L'aria si andava raffittendo. I fiori della robinia mandavano effluvi dolcissimi; si sentiva, a distanza, il brusio della città; ogni tanto il tram elettrico, correndo veloce su le rotaie, passava rapido dinanzi a la cancellata del giardino. Lucia s'era messa a sedere su lo sporto del muricciuolo e pensava a testa china. Che cosa importava a lei d'essere ricca, figlia unica, quasi un'ereditiera?.. Suo padre le era tolto, dagli affari lungo la giornata, la sera, dagli svaghi; in casa non ci aveva che la zia, una buona donna irta di pregiudizi, che non destava in lei nè poteva sentire nessuna simpatia per lei. Lena l'aveva lasciata. Chi le voleva bene davvero, erano, Bortolo, Adele e Wise. Del resto nessuno le era affezionato. Ella non credeva per certo alle dichiarazioni dei vagheggini!… Era troppo ricca per lasciarsi andare a prestar fede a dei giovinotti che le volevano far intendere di amarla, lei, proprio, lei! «Wise! povero Wise!—esclamò, in uno slancio di riconoscenza per la buona bestia che l'amava per sè stessa. Ma Wise rispose, dal lato opposto del giardino, con un guaito, senza accorrere. Lucia, insospettita, aguzzò gli occhi, si alzò e vide, fermo davanti al cane, al di là del cancello, l'alta figura dell'ingegnere Del Pozzo. «Wise!—chiamò ancora la fanciulla. L'ingegnere si mosse; una voce suonò nell'aria sommessamente: «Buona sera, signorina! «Buona sera!—rispose Lucia, quasi suo malgrado. E stette in ascolto finchè i passi dell'ingegnere si perdettero in distanza, dalla parte della fabbrica. «Come mai il signor Conte Anton Mario Del Pozzo passeggia a quest'ora da queste parti e perchè è andato verso la fabbrica, che deve essere chiusa? Entrò nel salotto, che la zia, finito di appisolare, già conversava con le sorelle Zolli, venute da un poco. Salutò; passò subito nel salottino attiguo, si mise al piano sfogliando un album di musica classica. Suonava sotto voce, interpretando la musica secondo la disposizione d'animo del momento, cercando e trovando una muta simpatia fra sè stessa e il suono. Finì per dare un'espressione melanconica, a un pensiero brioso; e l'originalità della cosa, le diede impressioni strane; come d'un fiore divelto prima della fioritura; come d'un insetto alato morente nell'acqua in piena gioia di sole; come di gorgheggio d'uccello violentemente troncato da sparo crudele. «Lucia!.. ci appresti il thè?—chiese la zia ad un tratto.

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Argomenti: tre signore,    fatale spirito,    villino civettuolo,    bestia fedele,    resto nessuno

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