Ricordi di Parigi di Edmondo De Amicis pagina 8

Testo di pubblico dominio

rischiarano, tutti i cuori s'allargano, e tutte le bocche dicono:—Italia—prima che gli occhi ne abbiano letto l'annunzio. È un vero colpo di scena, al quale segue immediatamente un altro non meno meraviglioso. Passate la soglia d'una porta: avete fatto un viaggio di mare di due mesi. Siete in un altro emisfero. Vi trovate dinanzi a un ideale artistico nuovo, che urta e scompiglia violentemente tutte le immagini che vi si sono affollate nel capo fino a quel punto; in mezzo a visi esotici, a oggetti strani, a combinazioni inaspettate di colori, a prodotti bizzarri d'industrie enigmatiche, che mandano profumi sconosciuti, e destano a poco a poco, oltre la curiosità, un'ammirazione accresciuta di non so che simpatia intima, come di natura. È il Giappone, la Francia dell'Asia, che espone i suoi vasi colossali dipinti su fondo d'oro, i salotti arredati di mobili di porcellana, i quadri di seta ricamati a uccelli e a fiorami, le intarsiature d'avorio, di lacca e di bronzo, e mille piccole meraviglie innominabili; e in ogni cosa quella nitidezza cristallina, quella perfezione disperata delle minuzie, quella finezza aristocratica di colori, quell'ingenuità gentile d'immaginazione femminea, che è l'impronta propria e indimenticabile dell'arte sua. Il Giappone prepara alla China; ma è in ogni modo un gran salto. Alla musica dei colori succede il tumulto, al grazioso il grottesco, al finito il tormentato, alla varietà la confusione, al capriccio la follia. Al primo entrare, la vista rimane offesa. In mezzo ai mobili di mille forme sconosciute, di legno di rosa o di legno di ferro, intarsiati di avorio o di madreperla, cesellati con una pazienza prodigiosa, si rizzano i baldacchini purpurei, i paraventi dipinti di giardini misteriosi, i parafuochi ricamati di farfalle argentee e di uccelli dorati, le pagode a sette piani coperte di chimere e di mostri, i chioschi snelli dai tetti arrovesciati e frangiati, su cui spenzolano dalla vôlta le enormi lanterne fantastiche, simili a tempietti aerei d'oro e di corallo, fra le pareti coperte di grandi stendardi di seta gialla ornati di caratteri cabalistici di velluto nero; dai quali, abbassando lo sguardo, si ritrovano le portantine delle dame, i bottoni dei mandarini, le scarpette ricurve, le pipe da oppio, le bacchettine da riso, i bizzarri strumenti di musica, e immagini della vita chinese d'ogni tempo e d'ogni ceto, che appagano cento curiosità, svegliandone mille, e metton la testa in tumulto. Ah! come si riposa l'occhio e la mente uscendo dalla porta rossa di Pekino! Par di tornare nella propria patria, in mezzo ai fratelli e agli amici. Siviglia canta, Granata sorride, Barcellona lavora. Alla prima occhiata riconosco le mie belle amiche dei venticinque anni. Ecco la chitarra di Figaro, ecco i pugnali di Toledo, ecco le mantiglie insidiose, le scarpettine calamitate, i ventagli che parlano, i bustini che fanno scattare le braccia, le stoffe pittoresche della Catalogna e dell'Andalusia, e i vasi moreschi, e i ricami di seta dei chiostri antichi, e gli svelti fantaccini di Espartero e di Prim, che drizzano i loro graziosi cappelletti alla Ros in mezzo ai cannoni che fulmineranno il terzo esercito di don Carlos. Ma è una visione fuggitiva. Passano i Pirenei, passano le Alpi; uno scintillio diffuso di cristallami, che mandano riflessi di tutti i metalli e di tutte le perle, fra cui brilla da ogni parte il widerkomme verde, stemmato e coronato, annunzia la Boemia. Si va innanzi fra la mostra splendida dell'orologeria viennese e i ricchi mobili improntati del gusto del cinquecento e del gusto nuovissimo, sposati graziosamente; a traverso a un museo di pipe splendide, in mezzo a mucchi di saponi del Danubio, dell'apparenza di formaggi e di frutti, fra i tessuti di vetro e i prodotti delle miniere d'Ungheria, che mostra la novità preziosa del suo opale nero; e poi…. dove si riesce? Siamo nell'estremo settentrione o nell'estremo oriente? Si può credere l'uno e l'altro. Son due spettacoli in uno. Di qua, le pietre preziose della Siberia, i grandi blocchi di malachite dell'Ural, gli orsi bianchi, e la volpe azzurra, le stufe enormi, le stoffe porporine di Mosca, mille scene dipinte della vita russa, intima e grave, e saggi ingegnosi di nuovi metodi d'insegnamento, che rivelano una cultura fiorente; di là, i vestiarii briganteschi e splendidi del Caucaso, i pugnali e i gioielli barbarici, e un barlume del cielo di Tartaria e un riflesso del sole di Persia; e poi l'oreficeria e la ceramica dall'impronta bizantina, fra cui brillano i grandi piatti di mosaico a fondo d'oro, nuova gloria di Mosca: una esposizione varia e tumultuosa che conduce il pensiero a salti, d'oggetto in oggetto, dalle rive della Vistola alla muraglia della China, e lascia quasi sgomenti dinanzi all'immagine dell'Impero smisurato e deforme. Improvvisamente un alito d'aria montanina vi porta una vaga fragranza d'Italia, e vi ritrovate in mezzo a mille cose e a mille colori famigliari al vostro sguardo. La Svizzera c'è tutta, verde, fresca, nevosa, vigorosa, ricca e contenta. Ginevra ha mandato i suoi orologi, Neufchâtel i suoi gioielli, Choume le sue maioliche, Glaris le sue indiane, Zurigo le sue sete, Interlaken le sue sculture, Vevey i suoi sigari, e San Gallo e Appenzel hanno riempito una vasta sala dei loro ricami insuperabili, davanti a cui s'accalca una folla meravigliata. Ma di qui s'intravvede già, nelle sale vicine, l'arte e la splendidezza d'un popolo più fine e più opulento. Qui decorazioni d'appartamenti principeschi, pulpiti e seggioloni di cori, prodigiosamente scolpiti, che si riflettono nei palchetti intarsiati e negli specchi colossali, in mezzo ai bronzi e ai pianoforti; e una ceramica superba che riproduce i grandi capolavori della pittura nazionale. Le trine di Malines riempiono della loro grazia aerea ed aristocratica una sala affollata di signore che gettan lampi dagli occhi. Dalle pareti pendon le tappezzerie istoriate d'Ingelmunter, le belle armi di Lièges, vicino alle sculture in legno di Spa e ai prodotti metallurgici della Vecchia montagna; dopo i quali si può prendere un po' di respiro in un gabinetto di Re Leopoldo, scolpito in legno di quercia, che fa sinceramente desiderare, per un'oretta al giorno, la corona del Belgio. E poi un contrasto curiosissimo: le esposizioni di due paesi profondamente diversi, che par che si guardino l'un l'altro, stupiti di trovarsi di fronte. Figuratevi da una parte le pelli degli orsi bianchi uccisi dai navigatori danesi in mezzo ai ghiacci polari, dall'altra i tappeti fatti a mano dalle belle fanciulle brune nei villaggi irradiati del Peloponneso; di qui i legni della foresta di Dodona, di là gli zoccoli delle grosse contadine di Fionia; a destra i marmi delle miniere del Laurium, che rammentano le glorie dello scalpello antico; a sinistra le reti dei pescatori del Baltico, che fanno sentire nella mente echi lontani di canzoni pie e melanconiche; e dirimpetto alle immagini degli oggetti ritrovati negli scavi delle terre famose, di fronte alla poesia delle rovine immortali e delle ceneri glorificate dal mondo, i visi pacati, i costumi semplici, le feste patriarcali di un popolo grave e paziente, industrioso ed economo, che ispira l'amore del lavoro tranquillo e della vita oscura e raccolta. Di là dalla Danimarca, s'apre un nuovo infinito orizzonte, dinanzi al quale il visitatore si arresta, e gli balenano alla mente i pampas sterminati, le tempeste di sabbia, i nembi di cavallette, gli armenti innumerevoli, i viali deserti fiancheggiati da monumenti titanici di pietra, e le foreste senza fine e le immense valli solitarie su cui sorge appena l'aurora della vita umana, e qua e là, dietro un velo di nebbia, faccie mostruose e stupefatte, di Incas, che tendon l'orecchio agli squilli vittoriosi della civiltà che s'avanza. Qui è un labirinto di sale e di gallerie, che vi conducono dal Perù all'Uraguay, dall'Uraguay a Venezuela, a Nicaragua, al Messico, a San Salvador ad

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Argomenti: san gallo,    vero colpo,    terzo esercito,    lavoro tranquillo

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