Ricordi di Parigi di Edmondo De Amicis pagina 36

Testo di pubblico dominio

sentirà, come un accompagnamento musicale, lo strepito di quella vita precipitosa, e vi sarà l'amore nel vagone, l'accidente nella galleria, il lavoro della locomotiva, l'incontro, l'urto, il disastro, la fuga; tutto quel mondo nero, fumoso e rumoroso, nel quale egli vive col pensiero da lungo tempo. E saran tutti romanzi del «ciclo» Rougon Macquart. Egli ne ha già nella mente, come una visione, mille scene: abbozzi confusi, pagine lucidissime, catastrofi tremende e avventure comiche e descrizioni sfolgoranti, che gli ribollono dentro senza posa, e sono l'alimento vitale dell'anima sua. Ha ancora otto romanzi da scrivere. Quando la storia dei Rougon Macquart sarà finita, egli spera che, giudicando l'opera intera, la critica gli renderà giustizia. Intanto lavora tranquillamente, e va diritto alla sua meta, senza guardar nè indietro nè ai lati, Il suo studio è la sua cittadella, nella quale egli sì sente sicuro, e scorda il mondo, tutto assorto nelle graves jouissances de la recherche du vrai. —Vedete,—disse in fine,—io sono un uomo tutto di casa. Non son buono a nulla se non ho la mia penna, il mio calamaio, quel quadro là davanti agli occhi, questo panchettino qui sotto i piedi. Portato fuor del mio nido, son finito. Ecco perchè non ho passione per viaggiare. Quando arrivo in una nuova città, mi segue sempre la medesima cosa. Mi chiudo nella mia camera d'albergo, tiro fuori i miei libri e leggo per tre giorni filati senza mettere il naso fuor dell'uscio. Il quarto giorno m'affaccio alla finestra e conto le persone che passano. Il quinto giorno riparto. —C'è un viaggio però—soggiunse—che farò sicurissimamente: un viaggio in Italia. —Quando?—gli domandai ansiosamente. —Quando avrò finito Nana,—rispose.—Probabilmente la ventura primavera. È un mio antico desiderio. E domandò infatti quali erano i mesi propizii per fare un viaggio in Italia colla famiglia. È inutile che io dica se lo scongiurai di non cambiar proposito, e con che piacere intravvidi lontano una mensa splendida, coronata di realisti e d'idealisti italiani d'ogni età e d'ogni colore, affratellati almeno una sera per onorare un grande ingegno e un carattere forte e sincero. E intanto egli continuava a discorrere, in piedi, vicino alla porta, colla sua amabile e virile franchezza, coi suoi gesti risoluti, col suo bel viso pallido e fiero, e veduto così sul fondo del suo studio elegante, pieno di libri e di carte, e dorato da un raggio di sole, dava l'immagine d'un bellissimo quadro, che rappresentasse l'ingegno, la fortuna e la forza; e il gridio dei due piccoli Zola che giocavano nella stanza accanto, vi aggiungeva una nota di gentilezza, che lo rendeva più nobile e più caro. E mi suonano sempre all'orecchio le ultime parole che mi disse sulla soglia, stringendomi la destra con una mano e tenendo su coll'altra la tenda della porta: —Je suis toujours très-sensible aux poignées de main amicales qui me viennent des étrangers; mais ce n'est pas d'un étranger que me vient la vôtre; c'est de l'Italie, de ma première patrie, ou est né mon père. Adieu! PARIGI Per quanto si stia volentieri a Parigi viene un giorno in cui la città diventa antipatica. Passata la febbre dei primi giorni, quando si comincia a entrare un po' addentro a quella vita tumultuosa, si prova un disinganno, come al vedere la città la mattina per tempo, mentre è ancora scarmigliata e insonnita. Com'è brutta Parigi in quell'ora! Quei boulevards famosi, così sfolgoranti poche ore prima, non sono più che uno stradone irregolare, fiancheggiato da case misere, alte e basse, sbiadite, annerite, sformate sulla sommità da un orribile disordine di camini altissimi, che paiono la travatura di edifizi non finiti; e ogni cosa essendo ancora chiusa e velata da un po' di nebbia, non si vede che un grande spazio solitario e grigio, nel quale non si riconoscono più, a primo aspetto, i luoghi più noti; e tutto pare invecchiato, logoro e pieno di pentimenti e di tristezze; a cui sembra che vogliano sfuggire le rare carrozze che passano rapidamente, come peccatrici sorprese dall'alba e dalla vergogna, dopo l'ultima orgia del carnovale.—Son questi i boulevards?—si dice con un senso di rammarico, davanti a quel miserabile spettacolo. E così dopo qualche mese di vita parigina si dice:—Questa è Parigi? Ma i primi mesi sono bellissimi, in specie per i cambiamenti che seguono in noi. Si prova subito un raddoppiamento d'attività fisica per effetto del raddoppiamento di valore del tempo, e l'orologio, fino allora sprezzato, assume la direzione della vita. Tre giorni dopo l'arrivo, senza che ce n'accorgiamo, la cadenza abituale del nostro passo è già accelerata, e il giro del nostro sguardo, ingrandito. Tutto, anche il divertimento, richiede previdenza e cura; ogni passo ha il suo scopo; ogni giornata ci si presenta, fin dallo svegliarsi, divisa e ordinata in una serie di occupazioni; e non ci rimane più alcuno di quei piccoli ozii, i quali, come in una marcia militare i riposi irregolari, infiacchiscono invece di ristorare le forze. La più torpida pigrizia è scossa e vinta. La vita sensuale e la vita intellettuale si intrecciano così sottilmente, e ci allacciano la giornata in una rete così fitta di piaceri e di pensieri, che non è più possibile stricarsene. Una curiosità smaniosa di mille cose s'impadronisce di noi, e ci fa correre dalla mattina alla sera coll'interrogazione sulle labbra e colla borsa in mano, come affamati in cerca di alimento. Il delitto clamoroso, il re che passa, l'astro che si spegne, la gloria che sorge, la solennità scientifica, il libro nuovo, il nuovo quadro, il nuovo scandalo, le grida di stupore e le alte risate di Parigi, si succedono così rapidamente che non c'è neppur il tempo di voltarsi a dare uno sguardo a ogni cosa; e siamo costretti a difendere faticosamente la nostra libertà di spirito, se vogliamo attendere a un qualsiasi lavoro. Tutto precipita e la menoma sosta produce una piena. Stiamo quarant'otto ore in casa; è come starci un mese in una città italiana. Uscendo, troviamo cento nuove cose nei luoghi soliti dove davamo una capatina, e cento nei discorsi del nostro crocchio d'amici; e torniamo a casa con una retata di notizie e d'idee, ciascuna già bollata d'un giudizio arguto, e come battuta in moneta spicciola, da potersi spendere immediatamente. In capo a pochi giorni ci troviamo nelle condizioni d'ogni buon «borghese» parigino: scambiamo cioè per dottrina e per spirito nostro tutta la dottrina e tutto lo spirito che ci corre intorno, tanto sentiamo nel serra serra di quella moltitudine che si rimescola vertiginosamente, il calore e il palpito della vita di tutti. Per quanto si viva in disparte, la grande città ci parla nell'orecchio continuamente, ci accende il viso col suo fiato, ci costringe a poco a poco a pensare e a vivere a modo suo, e ci attacca tutte le sue sensualità. Dopo quindici giorni lo straniero più restio fa già la gobba, come il gatto, sotto la sua mano profumata. Si sentono come i fumi d'un vino traditore, che salgono a grado a grado alla testa; un'irritazione voluttuosa, provocata dalla furia di quella vita, dallo sfolgorio, dagli odori, dalla cucina afrodisiaca, dagli spettacoli eccitanti, dalla forma acuta in cui ogni nuova idea ci ferisce; e non è passato un mese, che quel ritornello eterno di tutte le canzonette,—la bella donnina, il teatro e la cenetta—ci s'è piantato nella testa tirannicamente, e tutti i nostri pensieri gli battono le ali dintorno. Abbiamo già dinanzi un altro ideale di vita, da quello che avevamo arrivando, più facile allo spirito, più difficile alla borsa, verso il quale la nostra coscienza ha già fatto, prima che ce n'accorgiamo, mille piccole transazioni codarde. Certo non bisogna avere in sè cagioni di grandi dolori, perchè è tremendo per chi è in terra sentirsi passare addosso quell'immensa folla che corre ai piaceri. Ma Parigi è per la gioventù,

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Argomenti: grande città,    bel viso,    grande spazio,    grande ingegno,    quarto giorno

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