La strega ovvero degli inganni de' demoni di Giovan Francesco Pico Della Mirandola pagina 7

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preso errore nel cambiare la bossola, per la qual cosa dimostrò variarsi l'imagine, e non lo essere, della cosa. Confermollo ancora più chiaramente dicendo d'aver ritenuto sotto la forma d'asino la mente, e lo ingegno di Lucio: e non è da credere che gli fusse venuto per la fantasia una tale imaginazione di trasmutare la forma, se non fusse stato publichissimo grido tal cosa essere propria delle donne di Tessaglia. Affermò dipoi questo medesimo ancora quel Platonico che imitò Luciano, dicendo essere andato in Tessaglia, dove che innanzi che lassasse la prima forma finse averne presa un'altra, tolto (s'io mi ricordo bene delle sue parole) un poco più unto che non dovea, e fatto molte altre cose. Delle quali fa menzione, tal che dimostra d'avere voluto seguitare Luciano nelle parole ed in ogni cosa, avendo egli fatto menzione del mormore di Tessaglia, dell'olio magico che trasforma, e del rimedio delle rose che rende la prima forma. AP. Perchè credi tu che abbiano detto le rose essere buon rimedio? FR. Se fondamento nissuno ci è, penso che sia stato cavato dal grande Aristotile, appresso del quale io ho letto essere fra le cose grandi e maravigliose, che l'asino facilmente soglia morire per lo odore delle rose. Il che sapendo e Luciano e Lucio, l'asino in cui si erano trasfigurati sparì per le rose, o veramente che pure sotto questo velamento ci è ancora nascosto qualche altro secreto diabolico, ovvero magico. Perchè in verità comunemente le donne di Tessaglia e di Tracia anticamente avevano nome d'usare gli incanti, coi quali favolosamente dicevano fare discendere la luna e le stelle fisse dal cielo, il che (come ancor disse colui) avevano insegnato ancora alle Sabine. In oltre dicevano essere spirate da Bacco, ed indi si chiamarono Mimallone ed Edonide. Correvano velocissimamente infuriate con serpi ravvolti attorno a bastoni, chiamati poi Tirsi, dicendo certe parole magiche e furno aute in tanto grandissima venerazione, che Olimpiade, madre del grande Alessandro, magno imperadore, volse sacrificare con le loro medesime cerimonie; onde quelle cose che paiono bugie, credo che sia più ragionevole che le favole abbino avuto origine e principio e augumento da questi prodigi de' demonj (non senza qualche poco di adombramento di vero mescolatovi insieme di molte vanità) piuttosto che da' sogni (come dicea Sinesio); perciocchè a colui che gli fusse parso di vedere qualche cosa maravigliosa in sogno, non sarebbe corso così tosto a divolgarla, come se l'avesse vista fuora non dormendo. Crediamo noi che tanti incanti, che sono celebrati dai Greci e dai Latini siano stati fondati in su niente? e tante sorti di malie, di che è pieno ogni libro e ogni autore, fascinazioni, dare mal d'occhio, incantesimi, fatture, e inganni del nostro antico avversario. Di qui viene quella sacerdotessa della gente Massilia che prometteva con gli incantesimi cavare altrui di mente: Fermar le acque, e mutar corso alle stelle,
Chiamare l'ombre notturne.
Di qui sono le bevande di Circe, di Medea e di Canidia, tutte quelle cose amatorie di Simeta, narrate da Teocrito Siculo, seguitato da Marone. Io mi ricordo d'aver letto appresso di Plutarco la favola d'incantare la luna essere stata trovata con astuzia da Aganice Tessala, la quale sapendo che l'eclisse della luna procedeva dall'interposizione dell'ombra della terra, dette ad intendere all'altre donne di Tessalia, che non lo sapevano, che quando la luna si scurava era fatta venire in terra da lei. Si può ancora raccontare delle altre favole, che hanno avuto cominciamento da qualche cosa fatta, o da qualche astuzia. Fu appresso de' Greci uno (se io mi ricordo bene) chiamato Palefato il quale giudicò essere cosa degna e di grandissimo pregio mostrare in che modo la maggior parte delle favole avesseno principio e fondamento in sul saldo di qualche storia: tirata poi dalla opinione e falsa credenza del volgo a cose più grandi e maravigliose, come sempre suol fare, il che come io penso accennò Virgilio, dicendo: Mostralo il dotto Palefato in carte. Ecci ancora quello che è notissimo ad ognuno, solere farsi per incanti che gli uomini o siano diversi da lor medesimi, come cicalavano alcuni, o che paresseno: che ragionevolmente non pare che alcuno possa negarlo, perchè senza vergogna potevano dire che almanco gli paresse che fusse così. Non ti ricordi essere stato scritto: Le figliuole di Preto il piano e 'l monte
Di falsi mugghi aver ripieno e 'l giogo,
Temuto, e corni in van cercati in fronte.
Le quali (di poi dicono diverse storie) che sì come quelli con la rosa, così queste furno sanate da Melampo col purgarle il cervello, o (come volleno alcuni altri) da Esculapio con l'arte della medicina. Ma o fusseno infuriate per sdegni di demonj, ovvero per qualche infermità, gli antichi le dettero diversi rimedj: perocchè i demonj in quel tempo, che avevano l'imperio del mondo, tennero continuamente diversi e vari modi d'ingannare, non solo per mezzo de' sacerdoti de' tempj, e per gli oracoli, ma ancora per via delle donnicciuole infuriate dalla spirazione d'Apollo; imperocchè facendo maravigliare gli uomini di loro, gli aggiravano sotto specie di religione, precipitandogli nelle scelleranze, e per indurli a questo, pigliarono i demonj varie forme, come si può vedere di Proteo appresso di tutti i poeti, il quale si mostrava con diverse apparenze; e di quelli eroi che morirono a Troia, i quali Filostrato dette a credere (ne' Dialogi dedicati a' posteri) che fusseno stati visti dal vignaiuolo. Così anco si dice essere apparsa l'imagine di Empusa Lammia (che è una fantasima con un piè solo, e di rame) ad Apollonio Tianeo, mutandosi in diverse foggie, e talora in un subito togliendosigli di vista: e il medesimo avvenne a Menippo cinico (non quello che imitò Varrone nelle satire, imperocchè quello, a comparazione di questo Menippo Licio, è tenuto antichissimo) tenendosi una fantasima, ovvero una Lammia, come che gli fusse moglie. Paionti elleno queste cose simili a quelle che si dicono delle streghe a tempi nostri? AP. Sì bene, perchè pure ora mi sovvengono quelle parole: Laura,
Lammia, Incubo, favole antiche; e quel verso:
A culle di fanciulli, strega nota,
Scelleranza del sesso feminile.
FR. Orsù andiamo al resto, acciocchè possiamo farne giudizio simigliante. Delle malie ne sono state scritte infinite cose, beveraggi, incantesimi, mesture, voci fabulose, e lusinghe di Marsi, perchè quantunque i naviganti d'Ulisse si dicesseno per metafora grugnire con i porci, trattenuti dalle lascivie delle donne, Ercole avere amato fuor di misura, bagnato dal sangue di Nesso Centauro, e gli amori indotti per i veleni di Colco, e che si sappia che per queste cose si mostrano le sfrenate voglie della brutta libidine, nondimeno le lusinghe non son bastanti per loro stesse, ma insieme con gli incanti, da' quali non è preso se non chi vuole; e però, dice Omero, che Ulisse andò incontro a Circe, non col bacio, ma con la spada, il quale siccome non era preso dall'amore, così anco non fu ritenuto dagli incanti, i quali non nuocono senza la maligna industria de' demonj. E così tiene quelli che vogliono essere tenuti, e usa grande arte per indurgli a volere, piglia i volgari con le lascivie, con le ricchezze quelli che son dati alla vita civile, e con la gloria quei pochi che si danno agli studj della filosofia. Così anco, se noi diremo quei conviti parte essere veri, e parte imaginari, non ci discosteremo dagli scrittori antichi; però che una simil cosa era quella mensa del sole descritta da Erodoto, stimata da Solino più divina, nella vita di Tianeo [Filostrato nel iiii. lib. al cap. viii.], il convito di quella sposa, la quale era una della compagnia, o delle Lammie, o delle Larve, ovvero de' Lemuri; dove si dice che le tazze e i vasi, che parevano d'argento e d'oro, sparirono. I demonj adunque sotto varie forme si accompagnano con gli uomini, e Filostrato li chiama apparizioni e Lammie

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Argomenti: grande arte

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