La strega ovvero degli inganni de' demoni di Giovan Francesco Pico Della Mirandola pagina 9

Testo di pubblico dominio

uscisse di vita con questa morte, o con quella che scrisse Democrito Trevenio, cioè che s'era appiccato ad un corniuolo, s'ha da tenere che il demonio l'inducesse ad ammazzarsi da sè, nè gli bastò d'averlo schernito ch'ei credesse l'anima sua essere passata in diversi corpi: onde disse in quel suo verso: Di già fanciullo e fanciulla fu io, ma ancora con voci diaboliche, e con splendori di fiaccole l'allettò a morire. Rapì forse ancora Apollonio insieme con l'anima, conducendolo a dannazione eterna, la qual morte pare indegna de' Magici, perocchè è dubbio dove egli morisse. Alcuni dicono essere morto in Efeso, alcuni in Creta, e altri in Rodi. Il sepolcro, ovvero il deposito, insino al tempo di Filostrato non si trovava, avvenga che da certi sciocchi fusse adorato per Dio: il qual culto mancò in poco tempo, come fanno anco gli altri inganni del demonio, e così cessorono gli oracoli dopo l'avvenimento di Cristo, de' quali quasi tutto l'universo era infettato, pure con i medesimi inganni. Ma quello che già palesemente spargeva gli oracoli, ora si rode in oscuri laberinti, appetendo i lascivi congiungimenti, oggi tenuti vituperosi dalle genti, dove già erano orrevoli, donde è quel verso: Degnando Anchise al suo coniugio altero
Venere Dea,
e questo non pure al tempo degli eroi, ma al tempo d'Alessandro e di Scipione, a' quali accrebbe la gloria l'essere tenuti figliuoli di Giove, sendo così noto per l'istorie che non faccia mestiero il raccontarlo, che Giove demone, il qual credevano essere Dio, si ghiacesse con la madre di Scipione in forma di serpente, e con Olimpia moglie di Filippo. Così il Demonio induceva a fare male quelli che erano pieni di lussuria mescolandoci anco il veleno della superstizione. E di sorte invescava color che erano cupidi della gloria, che avendo pronosticato, mentre che viveano, le cose future per mezzo della sua pratica, dopo morte ancora predicevano ciò che avea da essere. In questo modo dicevano, Orfeo il quale fu tenuto profeta mentre che visse, aver date le risposte e gli oracoli; dopo morte, e 'l suo capo tagliato dalle donne di Tracia, essersene andato in Lesbo ad abitare in una spelonca, e che prendeva i vaticini, per l'aperture della terra. Portavano ancora i demonj in volta gli oracoli d'Anfiarao e d'Anfiloco indovini, e mentre che visseno e poi che furono morti, il che forse desiderò Empedocle quando volse essere tenuto Dio. E parimente fingevano che i re dopo morte esercitasseno l'arte militare, come favoleggiavano di Reso, il quale dicevano armeggiare nel monte Rodope, e attendere alle caccie ed al cavalcare: in oltre dicevano che l'anime di questi apparivano, non pure per mezzo di quei circoli e di quei sacrifizj di Omero, ma che si mostravano ancora spontaneamente, e per certe convenzioni che facevano (come dice Filostrato, che si mostrava Achille ad Apollonio, e Protesilao con gli altri capitani, che avevan fatta guerra a Priamo, al vignaiuolo) ma per essere i visi, i costumi, e le cose fatte da costoro diverse da quelle che scrive Omero, nè punto consonanti a quelle che disseno o Darete Frigio, ovvero Dizio Creteo istorico, puoi conoscere quante bugie siano aggiunte alla felicità de' demonj ed alla cognizione delle cose, e quanti aggiramenti siano posti sopra i modi del vivere. Laonde se il demonio si pose già con quelli che si reputavano savi, e schernivagli di sorte che desse loro a credere cose contrarie, repugnanti e lontane in tutto dal vero, quale è la cagione che tu con tanta istanzia ti maravigli che nelle streghe del nostro tempo si trovino molti aggiramenti, e la più parte contrari fra di loro? Maravigliati piuttosto della potenza e sapienza di Cristo, che quello che innanzi al suo avvenimento, il demonio maligno persuadeva ai re, agli oratori, ed a' filosofi, come cosa grande, maravigliosa e degna d'ogni sapienza, ora a pena lo può persuadere agli uomiciatti ed alle donnicciuole, cioè che adorino lui, e che faccino quello che egli comanda, e che quello che già palesemente si faceva in tutto l'universo, per tutte le nazioni, come cosa onorevole e degna di lode, ora si faccia appresso di pochi, di nascosto, ed in luoghi remoti e solitari, come cosa brutta e piena di vituperio. E considera (quello sopra tutto degno della gloria divina) il fondamento della fede Cristiana esser tanto fermo e saldo, che il demonio maligno non vuole che le streghe abbino affare seco, se prima non rineghino la fede nostra, non sprezzino i sacramenti, e non calpestino l'Ostia salutifera. In questa guisa il nimico di Dio e degli uomini vuole che quelli che lassano la nostra religione piglino i principj de' suoi sacrilegj. E questo perchè non possono stare insieme il vero e 'l falso, la luce e le tenebre, e la religione e la superstizione. Ma parmi che ora mai ti potrai chiarire di quello che abbiamo ragionato per la via. Eccoti la Strega alle scale della chiesa, che parla con Dicaste. AP. Dio vi salvi. DIC. Che c'è di nuovo Apistio? AP. Noi desideriamo d'intendere le nuove da te, conciossiachè Fronimo qui ed io siamo venuti qua per udire insieme con esso teco la Strega delle cose che si fanno nell'altro mondo, se te ne contenti però. STREGA. Ohimè! DIC. Sta di buono animo, parla senza paura, e non dubitare ch'io ti manterrò che non ti sarà fatto mal nissuno, come t'ho promesso, se tu dirai liberamente tutte le tue ribalderie, che ad ogni modo non le puoi celare perchè ho testimonj, e principalmente te delinquente, la quale massimamente ho desiderata. STR. Io ho detto; perchè mi tormentate più? DIC. Bisogna replicare, non pure in presenza di due o tre testimonj, ma di molti: e poi anco di tutto il popolo, se tu vuoi scampare il martoro, a che ti condannano le leggi. M'hai promesso di fare tutto quello che io ti comanderò, ed io per questo t'ho promesso non ti mettere nelle mani del Potestà, che ti faccia abbruciare secondo il costume antico. Ora io non ti comando altro se non che tu racconti le cose che facevi con i demonj quando eri in corso, o vero nel giuoco di Diana. STR. O giuoco per me amarissimo! O infelice donna che io sono! DIC. Non c'è bisogno di piangere, nè di ugnolare. STR. Di grazia non mi tormentate più: vi prego mi diate tanto tempo ch'io ritorni in me, e di poi vi dirò tutto quello che ho fatto. DIC. Se piace così a voi, io la contenterò, però che se noi indugiamo a domane, ella dirà ogni cosa con animo più pronto e con miglior voce, al che io arò molto caro (se non vi increscerà la via) che vi troviate presenti. AP. Non increbbe la via a quelli che andorno da Gnoso alla Spelonca, ed al tempio di Giove, per udire le vane leggi di Minos e di Ligurgo; ed a me doverà increscere d'andare un miglio per intendere più da presso e più minutamente quelle cose che, se non sono vere, almeno per i discorsi di Fronimo, mi paiono verisimili? FR. Mi rallegro che tu ceda non a me, ma alla mera verità; o pur se tu non sei anco chiaro alle cose che le son simili, ed a me certamente non sarà grave per fare esercizio ritornare in fin qui dalla città. DIC. Domattina adunque ne verrete da noi aspettati con desiderio. II. INTERLOCUTORI DICASTE, APISTIO, STREGA e FRONIMO. DICASTE. Siate appunto venuti a tempo, che la Strega or ora si caverà di prigione. AP. Eccola che la menano legata. STR. Così m'attenete le promesse eh? perchè date tormenti a chi ha confessato? AP. Buona donna, qui non s'è portato nulla da darti martoro. Fronimo qui ed io siamo venuti solamente per vedere ed udire, e per aiutarti dove noi potremo. FR. Così è. STR. Queste manette mi fanno male, ed i nodi delle funi sono troppo stretti: ed ho paura anco di peggio. FR. Falla un poco allentare. DIC. Orsù, sia anco sciolta. STR. Comincerò un poco a riavermi. DIC. Sta di buono animo, e non dubitare che non ti mancherò niente di quello che io t'ho promesso, pure che tu anco mantenghi le promesse, nè c'inganni in cosa nessuna, manifestando tutto quello di che sarai domandata. STR. Tutto manterrò

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