La strega ovvero degli inganni de' demoni di Giovan Francesco Pico Della Mirandola pagina 12

Testo di pubblico dominio

amatore? ST. Fu già tempo che non n'avea paura, ma da poi che sono in prigione, e che contra la voglia sua ho rivelati i nostri amori, mi spaventa fuor di modo, stando talora all'usciuolo della prigione, ed a quella finestra piccola mi dice villania, e promette d'aiutarmi, se io sto ostinata a non confessare. AP. Quando tu andavi al giuoco, non ti faceva egli mai niente paura? ST. Niente certo. AP. Andavi tu ogni dì, o pure in certi tempi? ST. La seconda notte dopo il sabato, che oggi è il quarto, cominciandosi da quello. AP. Andavi tu mai di giorno al giuoco? ST. Mai. FR. Di qui puoi conoscere ancora le reliquie dell'antica superstizione, se ti ricorderai: Su i notturni canton delle cittadi
Ecate aver gridato.
Che altrimenti si chiamò Diana e Luna, alla quale (come dice Pindaro) solevano sacrificare le donne, con ciò sia cosa che i maschi non ricorressino da lei, se non nelle cose dell'amore. La notte era dedicata a simil preghi, e finivansi come finiva il giorno. Onde è quel verso: Cacciommi coi cavai l'iniquo giorno. AP. Vi è forse sotto qualche senso più nascosto. FR. Che? AP. Quello di che fece menzione Menandro. DIC. Ognun di voi dice bene, secondo la scienza umana; ma io, secondo la divina, vi addurrò l'oracolo perfetto, non alcuno di quei vani d'Apolline, ma quello che venne dalla verità, e da Dio stesso. AP. Dillo. DIC. Colui, che fa male, ha in odio la luce. FR. Certo sì, che cotesto è verissimo: ma tu, o buona Strega, perchè non ti trovavi tu ancora l'altre notti nelle danze di Diana, ovvero della Erodiade, o di quella che tu chiami la Signora? o, per parlare più chiaro, perchè non ti ritrovavi tu, ovvero non pareva di ritrovarte in questa illusione del demonio l'altre notti? perchè io so certo, secondo la fede nostra, Diana non essere dea, nè la Erodiade, nè anco gli spiriti immondi essere signori dell'uomo. ST. Non lo so. AP. Preparàviti tu per l'andare, o pure aspettavi lui che venisse per te? ST. Io facevo un circolo, ed untami, montavo a cavallo sopra un sgabello; di poi ero levata in alto, e portata per aria al giuoco; qualche volta calpestavo l'ostia sacrata nel circolo, e subito giungeva Lodovico, del quale io me ne servivo a mio piacimento. AP. Che unguento era quello? ST. Fatto per la maggior parte di sangue di bambini. AP. Che ti ungevi tu? ST. Eh! mi vergogno a dirlo. AP. O meretrice sfacciatissima de' demonj! si vergogna a dire quello che non si vergogna a fare. ST. Parvi maraviglia? AP. Manda fuora il veleno: che ungevi tu? ST. Le parti che io uso per sedere. AP. O tu l'hai detto onestamente; ma io vorrei sapere quanto tempo tu mettevi dal partirti di casa all'arrivare al giuoco. ST. Poco. AP. Quanto era quel poco? ST. Manco d'una mezz'ora. AP. Quanto andavi alta da terra, quando eri portata? ST. All'altezza d'una giusta torre. AP. Ora io vorrei particolarmente sapere ciò che si faceva nel giuoco, e non ti sia grave, buona Strega (se vuoi ch'io ti aiuti) il dirci tutte quelle cose che si facevano quivi, come se mi avessi a rappresentare detto giuoco. ST. Quando noi eravamo giunte al fiume Giordano. AP. Al Giordano? che è quel che io odo? FR. Questo viaggio fatto in sì poco tempo insino al fiume Giordano credo che sia una bugia del demonio. Imperocchè per ingannare anco le donnicciole, le tien legate più forte, trovando nomi di luoghi magnifici: perciocchè non si può concedere che in spazio d'una mezz'ora un corpo umano d'Italia possa essere portato in Asia. Ma forse Satan ha dato colore alla cosa di qui, perchè già abitavano quivi l'Erodiadi. Mi meraviglio bene che non dia loro ad intendere, che elle vadino in Scizia all'altare di Diana, il che forse l'arebbe fatto, se quel nome di Scizia fusse stato a quelle donnicciuole così famigliare, come quello del Giordano, il quale è conosciuto da tutti quelli che nelle chiese hanno sentito recitare il Vangelio. Ma quella tal bestialità, non sacra, ma sacrilega, non molto conveniente a giuoco, ma più tosto a morte crudele, forse che le conduce a qualche fiume vicino: benchè alcune dicono non essere portate all'acqua, ma a certe sommità di monti. DIC. A me non pare cosa impossibile, che siano portate al Giordano, almanco in spazio di dieci ore, come dicono quasi tutte le streghe. FR. Tu pensi adunque, che in sì poco tempo faccino tanto viaggio, quanto è da questa nostra patria alla Siria ed alla Fenicia? DIC. Può bene il demonio muovere i corpi a suo piacere. FR. Sì, ma non seguita che gli possa muovere in sì poco tempo: o portandogli sopra le terra verso la Schiavonia e verso la Tracia a man sinistra, ovvero dalla destra per l'Africa, ovvero passando a diritto il mare Ionio, l'Egeo sopra Corfù, e sopra la Morea, sopra le Ciclade, che guardano Rodo e Cipro, si posino alla riva del fiume Giordano. DIC. Perchè non può egli essere questo? FR. Perchè non vogliono i tuoi dottori. DIC. Per che causa non vogliono? FR. Perchè dice san Tomaso non potere il demonio muovere tutta la terra, repugnando a ciò la natura, la qual vieta che si disordini e che si guasti l'ordine intero delle cose, e degli elementi. Imperocchè ripugna alla natura del corpo umano l'essere portato con tal velocità, la qual natura sia insieme cagione di conservarlo e d'ammazzarlo. Perocchè elle vivono, dove che sarebbe necessario che morisseno, conciossiachè l'impeto dell'aria, non mutato della natura sua, darebbe grande impedimento: se si rarificasse, facilmente si risolverebbe in fuoco; se si condensasse per il grande impeto della velocità, impedirebbe il corso; che se tu t'imaginassi che tutto l'aere si muovesse in quel modo che Aristotile s'imaginò che si muovesse il cielo, allora anco si leverebbeno contro di te, e Giovan Grammatico appresso de' Greci, e Scoto appresso de' suoi: subito opponendoti la intrinseca natura della quantità, per la quale il corpo, per quel grandissimo spazio, dove non è niente d'aria, bisogna che muova una parte di sè stesso dopo l'altra. E così, di qui insino in Asia, levato ogni impedimento ed ogni resistenza d'aria, ci si consumerebbe molto più tempo che non dicono. AP. Vi prego, di grazia, che serbiate a disputare queste sottigliezze a un altro dì. Seguita a narrare il vostro giuoco. ST. Quando noi siamo poi giunte quivi, veggiamo di subito la Signora a sedere col suo amatore. AP. Chi è quello? ST. Non lo so, ma ben so io questo, che egli è uno bello, e vestito di veste d'oro. AP. Seguita. ST. Quivi noi offeriamo l'ostie sacrate alla Signora, e quella, accettandole con animo grato e volto allegro, le fa posare sopra uno sgabello, e montarvi su co' piedi ed orinarvi sopra? AP. Chi ti dava queste ostie per portare al giuoco? ST. Bornio sacerdote, nato in questa terra. DIC. Uomo scelleratissimo e peggiore di quanti siano già mai stati conosciuti, o da me, o da altri in questo mondo! Dandomi già costui nelle mani, io lo giudicai degno d'essere digradato e posto in mano della giustizia, la quale subito gli dette quel supplizio che meritava secondo le leggi. AP. Seguita pure il tuo parlare. ST. Vi mangiamo, vi beviamo, vi pigliamo amorosi piaceri; che volete più? AP. Voglio che tu lo dica a parte a parte, che mangiate voi? ST. Carne ed altre cose che si sogliono cercare per mangiare. AP. Donde l'avete? ST. Ammazziamo de' buoi, ma risuscitano. AP. Di chi sono questi buoi? ST. Di quelli che noi abbiamo in odio; e caviamo ancora il vino delle botti per bercelo. Dipoi ciascheduna donna si chiama il suo demonio per cavarsi ognuna di noi la lussuria, ed ognuno di quegli uomini, ovvero demonj si caccia sotto la sua amica. DIC. De' buoi pare che siano cose da beffe. FR. Sono simili a quelle favole di colui. AP. A quale? FR. Cioè, le pelli e le carni de' buoi, che vanno serpendo e mugghiano. AP. Simili certo; imperocchè, che differenza è a dire che la pelle de' buoi vada, e le carni mezze cotte mugghino, da quest'altra illusione che la pelle ravvolta del bue già mangiato si rizzi in piedi? FR. Con una tal maraviglia credetteno

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