Sodoma e Gomorra di Docteur Jaf pagina 2

Testo di pubblico dominio

numerosi filosofi insegnavano con Zenone che l'amore è un dio libero, il quale non ha altre funzioni da compiere se non l'unione e la concordia. Se gli dei nella loro saggezza, hanno dato all'uomo l'amore fisico, è semplicemente in vista di piacere; la gioia dei sensi, non è un mezzo, è uno scopo, un fine. Il matrimonio non deve essere consigliato e praticato se non per prevenire l'estinzione della specie umana. Di più, la donna, così come lo professavano Ippocrate e Aristotele, è considerata come la schiava dell'uomo, d'una essenza inferiore, la si tiene per una sorta d'irregolarità nella natura; la si crede incapace di comprendere l'ideale di una passione, di un legame profondo. Ne risulta che l'uomo disprezzando la donna, la teneva lontano, e i due sessi finivano coll'essersi indifferenti. La donna allora si ripiegò verso sé stessa, tanto vero che all'amore anti-fisico degli uomini fra di loro, s'aggiunse come conseguenza logica, l'amore, non meno anti-naturale, delle donne con donne. La Grecia accettò, sin dai tempi eroici, il culto della donna e dell'uomo divinizzati, di cui l'esercizio fu del pari lubrico che nell'Asia Minore. Le leggi di Solone stabilirono la prostituzione legale, lo scopo di questo legislatore era stato quello di separare le donne di cattiva vita dalla società; ma il popolo si stancò più tardi di questa severità, poichè meno di un secolo dopo la morte di Solone le cortigiane fecero irruzione da ogni parte nella società greca ed osavano di confondersi con le donne maritate perfino nel foro. Solone aveva regolato gli stravizii, dapprima perchè voleva mettere al coperto dalla violenza e dall'insulto il pudore delle vergini e delle spose legittime, e poi per sviare la gioventù dalle tendenze vergognose che la disonoravano e l'abrutivano. Atene divenne il teatro di tutti i disordini; il vizio contro natura si propagava d'una maniera spaventevole e minacciava di arrestare il progresso sociale. Simili debosce, che non dovevano appartenere agli uomini, potevano appartenere ai cittadini? Solone volle dar loro i mezzi di soddisfare i bisogni dei sensi senza abbandonarsi alla sregolatezza della loro immaginazione. Nondimeno riuscì solo a correggere in parte i suoi compatrioti; gli altri senza rinunziare alle loro colpose abitudini, contrassero quelle del libertinaggio, più naturale, ma non meno funeste. Il vizio patentato, una volta ben stabilito, e quando se ne acquistò l'abitudine, vi si abbandonarono con furore; e perciò le leggi di Solone, trasmodarono dapprima in eccessi per la necessità degli stravizii pubblici, e successivamente cancellate sotto l'impero della corruzione dei costumi, che non si epuravano, civilizzandosi. A Sparta ed a Corinto i costumi privati delle donne non erano così regolari come ad Atene. A Corinto il vizio era libero, ognuno aveva il completo godimento di sè stesso. A Sparta, Licurgo aveva voluto, come diceva Aristotele, imporre la temperanza agli uomini e non alle donne; queste, molto prima di lui, vivevano nel disordine e si abbandonavano quasi pubblicamente a tutti gli eccessi. Le ragazze che ricevevano un'educazione maschile, pigliavano parte, quasi nude, agli esercizii degli uomini. Molte si prestavano ad atti di un'estrema licenza. La gozzoviglia era dunque organizzata in Grecia, la si considerava come un male necessario. Ateneo ha potuto dire: «Parecchi personaggi che hanno preso parte alla cosa pubblica, hanno parlato di cortigiane, gli uni biasimandole, gli altri facendone gli elogi.» Non era vergogna per un cittadino, per quanto altolocato fosse sia per nascita, che per evoluzione, di frequentare le cortigiane, anche prima dell'epoca di Pericle, durante la quale questa specie di donne regnò, in qualche sorta, sulla Grecia. Non erano nemmeno biasimevoli i rapporti che si potessero avere con esse. Il vizio ad Atene aveva sacerdotesse sotto tre forme: le dicteriadi, le auletidi e le etere. Le prime erano le schiave della corruzione, e stavano chiuse in case speciali; le seconde ne erano le ausiliarie, sonatrici di flauto, ed avevano un'esistenza più libera, poichè potevano esercitare la loro arte nei festini. La loro musica, i loro canti, le loro danze non avevano altro scopo che di riscaldare e di esaltare i sensi dei convitati, che le facevano ben presto sedere accanto ad essi... Le etere erano cortigiane che facevano traffico dei loro incanti, abbandonandosi impudicamente a chi le pagava, ma si riserbavano nondimeno una parte di volontà: non si vendevano al primo venuto, avevano preferenze ed avversioni e non facevano mai abnegazione del loro libero arbitrio. D'altronde col loro spirito, la loro istruzione e la loro squisita gentilezza, potevano spesso camminare alla pari con gli uomini più illustri della Grecia. Le etere possedevano case particolari dove si recavano a passare qualche giorno e qualche notte coi loro amici; non si davano che danze e musica in questi nidi di voluttà. Alcifrone ha raccolto una lettera di Panope che scriveva a suo marito Eutifulio. «La vostra leggerezza, la vostra incostanza, il vostro gusto, la vostra voluttà, vi portano a negligere me ed i vostri figli, per abbandonarvi interamente alla passione che vi ispira questa Galena, figlia di un pescatore che è venuta da Ermione per metter su casa e far commercio della sua bellezza nel Pireo, a detrimento della nostra povera gioventù. I marinai vanno a gozzovigliare da lei, dove le fanno mille regali, ella non rifiuta alcuno, è un abisso che tutto assorbe!» Il vizio era cosa tanto comune per le donne, che si vedeva spesso la madre vendere la propria figlia, e dopo averne avvizzita la verginità del corpo, s'ingegnava di contaminarne ed insozzarne l'anima. «Non è una disgrazia così grande, diceva Crobyle a sua figlia Corinna, che ella stessa aveva ceduto la vigilia ad un ricco e giovane Ateniese, di cessare di essere zitella e di conoscere un uomo che ci dia sin dalla prima visita una grande somma, con la quale io ti comprerò una collana». Queste lubriche ed infaticabili regine della crapula erano in maggior parte straniere. Venivano da Lesbo e da altre isole dell'Asia Minore; un gran numero erano di Mileto. Le più esperte nell'arte della voluttà erano quelle di Lesbo. Mileto era come il vivaio delle ballerine e delle sonatrici di flauto. Si ritrova qua e là negli erotici greci i principali insegnamenti che le cortigiane si trasmettevano l'una all'altra: 1.º L'arte di fare all'amore; 2.º L'arte di aumentarlo e di mantenerlo; 3.º L'arte di cavarne il maggior danaro possibile. «È bene, dice una di esse nelle lettere di Aristinete, di creare qualche difficoltà ai giovani amanti, e di non accordar loro tutto ciò che desiderano. Questo artifizio allontana la sazietà, sostiene il desiderio di un amante per la donna che ama e gliela fa avvicinare sempre con maggior entusiasmo, ma non bisogna spingere la cosa troppo oltre, l'amante finirebbe collo stancarsi, coll'irritarsi e correrebbe dietro ad altri progetti e ad altri legami; l'amore se ne vola con la stessa leggerezza colla quale è venuto.» Anche Luciano parla della scienza delle cortigiane: «Di rado permettono agli amanti di avvicinarle, giacchè sanno per esperienza che il godimento è la tomba dell'amore, ma nulla trascurano per prolungare la speranza ed il desiderio.» Le etere avevano maniere particolari di attirare gli uomini; i loro sguardi, i loro sorrisi, le loro pose, i loro gesti erano tanti allettamenti che spandevano d'intorno; ognuna conosceva a meraviglia quello che bisognava nascondere e quello che si doveva mostrare; talvolta fingevano distrazione ed indifferenza e talaltra silenzio ed immobilità, or correvano dietro la preda per adescarla al passaggio; cambiando di tattica a secondo la natura dell'individuo che volevano accalappiare. Avevano tutte un riso provocante e licenzioso che, da lontano, svegliava le idee più impure, parlando direttamente al senso, e che, da vicino, faceva brillar denti di

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Argomenti: maniera spaventevole,    completo godimento

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