Sodoma e Gomorra di Docteur Jaf pagina 4

Testo di pubblico dominio

di orgia pubblicamente. Un giorno Catone si presentò al circo nel momento in cui gli edili stavano per dare il segnale del gioco, ma la presenza di questo gran cittadino impedì lo scoppio dell'orgia. Le donne restavano vestite, le trombe tacevano, il popolo attendeva. Si fece osservare a Catone che lui solo ostacolava la festa; egli allora si alzò, si coperse il volto con la toga ed uscì dal circo. Il popolo applaudì, le cortigiane si svestirono, le trombe sonarono e la baldoria ebbe luogo. Venere aveva a Roma numerosi tempii, e se le cerimonie del culto della dea non offendevano il pubblico pudore, le feste date in suo onore autorizzavano ed esercitavano il vizio nelle case private, soprattutto presso le giovani dissolute e le cortigiane. D'altro canto le donne romane, così riservate riguardo il culto di Venere non si facevano alcun scrupolo d'esporre il loro pudore alla pratica di certi culti più disonesti e vergognosi, che, nondimeno, non riguardavano se non gli dei subalterni. Offrivano sacrifizii a Cupido ed a Priapo soprattutto; e non soltanto questi sacrifizii e queste offerte avevano luogo nell'interno delle case, ma ancora in certe specie di pubbliche cappelle, innanzi a statue erette agli angoli delle vie. Le cortigiane non si votavano mai a questo misterioso olimpo dell'amor sensuale; Venere sola bastava loro; erano le matrone e perfino le vergini che si permettevano l'esercizio di questi culti secreti ed impudenti; non vi si abbandonavano se non velate, è vero, prima del sorgere o dopo il tramonto del sole; ma non arrossivano di essere viste adorando Priapo ed il suo sfrontato corteggio. Il dio Priapo, favorito dalle dame romane, presideva ai piaceri dell'amore, ai doveri del matrimonio, e a tutta l'economia erotica. Lo stesso titolo era decretato al dio Mutunus o Tulunus che non differiva da Priapo se non per la posizione delle statue, le quali erano rappresentate sedute invece che in piedi; in oltre queste statue si nascondevano in edicole chiuse, circondate da boschetti. A questo Mutunus le spose erano condotte prima di appartenere ai mariti, e si sedevano sui ginocchi della statua come per offrirle la loro verginità. Questa offerta della verginità diveniva talvolta un atto reale di deflorazione. Poi, una volta maritate, le donne che volevano combattere la sterilità, ritornavano ancora a visitare il dio, che le riceveva novamente sulle sue ginocchia. Se i romani, che avevano istituito la prostituzione legale, tolleravano con compiacenza il commercio naturale dei sessi, se ne infischiavano ancor più del commercio contro natura. Questa vergognosa depravazione, che le leggi civili e religiose dell'antichità non avevano pensato a combattere, eccetto quelle di Mosè, non fu mai tanto generalizzata quanto ai migliori tempi della civilizzazione romana. Le ragazze pubbliche di Roma erano più numerose che non lo fossero mai state ad Atene ed a Corinto; ma vi si sarebbero invano cercato quelle regine della crapula, quelle etere così notevoli per la loro grazia e la loro bellezza che per la loro istruzione ed il loro spirito. I Romani erano più materiali dei Greci, non si contentavano delle delicatezza della voluttà elegante, e non avrebbero mai ricercato in una donna di piacere un trattenimento spirituale. Per essi il piacere consisteva nell'atto materiale, e siccome erano per natura di temperamento ardente, d'immaginazione lubrica, di una forza erculea, non chiedevano se non godimenti reali, spesso ripetuti, largamente soddisfatti, ed mostruosamente variati. La corruzione maschile era certo più ardente a Roma che non lo fosse la corruzione feminile. Erano i figli degli schiavi che si istruivano a subire le sozzure di un osceno commercio. Gli adolescenti formati a quest'arte impura sin dal settimo anno, dovevano riunire certe esigenze di bellezze che li avvicinavano al sesso feminile, erano sbarbati e senza pelo, unti di olio profumato, con lunghi capelli a buccoli. Tutti questi vili servitori del piacere e del vizio si dividevano in due categorie, arrogandosi in generale diritti sulle loro attribuzioni speciali; vi erano quelli che facevano sempre da vittime passive e docili, ve ne erano di quelli che divenivano attivi a loro volta e che potevano al bisogno rendere impudicizia per impudicizia ai loro dissoluti mecenati. Questi ultimi, di cui le dame romane non sdegnavano i buoni ufficii, erano gli eunuchi, ai quali la castrazione aveva risparmiato il segno della virilità. Per ben comprendere l'incredibile abitudine di questi orrori presso i Romani, bisognerà rappresentarsi che essi chiedevano al sesso mascolino tutti i godimenti che poteva dar loro la donna, e qualche altro, più straordinario ancora, che questo sesso, destinato all'amore dalle leggi della natura, avrebbe penato molto a soddisfare. Ogni cittadino, fosse il più raccomandabile pel suo carattere ed il più altolocato per la sua posizione sociale, aveva in casa un serraglio di schiavi sotto gli occhi dei suoi genitori, di sua moglie e dei figli. Roma del resto era piena di gitani che si vendevano così come le donne. Un pretesto alle pratiche viziose erano i bagni; questi stabilimenti comuni ai due sessi e quantunque avessero ognuno la vasca o la stufa a parte, pure potevano vedersi, incontrarsi, parlarsi, ordir intrighi, fissar convegni e moltiplicare gli adulterii. Ognuno conduceva là i suoi schiavi maschi e femmine, per guardar le vesti e farsi pelare, raschiare, profumare, confricare, radere, pettinare. I padroni dei bagni avevano pure schiavi addestrati a qualunque specie di servizio, miserabili agenti d'impudicizia che si noleggiavano per qualunque uso. Questi stabilimenti contenevano un gran numero di sale dove si trovavano letti da riposo, nei quali ragazzi di ambo i sessi si tenevano a disposizione dei clienti. Giovenale in una sua satira, ci presenta una madre di famiglia che aspetta la notte per recarsi ai bagni con tutto il fardello di pomate e di profumi: «Tutto il suo godimento consiste a sudare con grande emozione quando le sue braccia cadono rotte sotto la vigorosa mano che la massa, quando il bagnino animato da questo esercizio fa trasalire sotto le sue dita l'organo del piacere, e scricchiolar le reni della matrona». L'abitudine dei bagni sviluppava una specie di passione, per gl'istinti ed i gusti i più avvilienti; vedendosi nudi, contemplando tutte quelle nudità che facevano pompa dintorno nelle pose più oscene, nel sentirsi toccare dalle frementi mani del bagnino, i romani erano presi irresistibilmente da una rabbia di piaceri nuovi ed ignoti, per soddisfare i quali consacravano tutta la loro esistenza. Era là che l'amore lesbico aveva stabilito il suo santuario; e la sensualità romana si arricchiva ancora sul libertinaggio delle allieve di Saffo. Queste donne apprendevano la loro esecrabile arte a fanciulli ed a schiavi chiamati fellatores; simili impurità erasi talmente radicate a Roma che un satirico scrive: «O nobili Romani, discendenti della dea Venere, fra breve non troverete fra di voi un labbro casto per rivolgerle le abituali preghiere». Nelle strade, alla passeggiata, al circo, al teatro le cortigiane alla moda comparivano circondate da una folla di ammiratori; erano giovani dissoluti che facevano vergogna alle loro famiglie; liberti ai quali le mal acquistate ricchezze non avevano lavato la macchia della schiavitù; erano artisti, poeti, attori, che sfidavano volentieri la pubblica opinione. Bisognava vedere la sera sulla Via Sacra questo convegno quotidiano del lusso, della crapula e dell'orgoglio per rendersi conto quanto numerosa e brillante fosse quest'armata di cortigiane alla moda, che occupava Roma quale città conquistata. Convenivano là ogni giorno a far mostra e dar spettacolo di civetteria, di toilette e d'insolenza, fra le matrone che ecclissavano coi loro incanti e colla loro spudoratezza. Talvolta si facevano trasportare da robusti abissini in lettighe scoperte, nelle quali erano coricate seminude, le

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Argomenti: misterioso olimpo,    commercio naturale,    corruzione maschile,    sesso mascolino,    grande emozione

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