La via del rifugio di Guido Gozzano pagina 6

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persona intelligente! Cangiare i monti in piani cangiare i piani in monti, deviare dalle fonti antiche i fiumi immani, cangiar la terra in mare e il mare in continente: gran cosa non mi pare per te, onnipossente! Giocare con le cellule al gioco dei cadaveri: i rospi e le libellule le rose ed i papaveri rifare a tuo capriccio: poi cucinare a strati i tuoi pasticci andati e il nuovo tuo pasticcio: ma, scusa, ci vuol poca intelligenza! Basta — di' non ti pare? — basta il genio d'una cuoca. Bada che non ti parlo per acrimonia mia: da tempo ho ucciso il tarlo della malinconia. Inganno la tristezza con qualche bella favola. Il saggio ride. Apprezza le gioie della tavola e i libri dei poeti. La favola divina m'è come ai nervi inqueti un getto di morfina, ma il canto più divino sarebbe un sogno vano senza un torace sano e un ottimo intestino. Amo le donne un poco — o bei labbri vermigli! — Tempo, ma so il tuo gioco: non ti farò dei figli. Ah! Se noi tutti fossimo (Tempo, ma c'è chi crede di darti ancora prede!) d'intesa, o amato prossimo, a non far bimbi (i dardi d'amor... fasciare e i tirsi di gioia: — premunirsi coi debiti riguardi). Certo — se un dio ci dòmini — n'avrebbe un po' dispetto; gli uomini l'han detto: ma “chi” sono gli uomini? Chi sono? È tanto strano fra tante cose strambe un coso con due gambe detto guidogozzano! Bada che non ti parlo per acrimonia mia: da tempo ho ucciso il tarlo della malinconia. Socchiudo gli occhi, estranio ai casi della vita: sento fra le mie dita la forma del mio cranio. Rido nell'abbandono: o Cielo o Terra o Mare, comincio a dubitare se sono o se non sono! Ma ben verrà la cosa “vera” chiamata Morte: che giova ansimar forte per l'erta faticosa? Nè voglio più, nè posso. Più scaltro degli scaltri dal margine d'un fosso guardo passare gli altri. E mi fan pena tutti, contenti e non contenti, tutti, pur che viventi, in carnevali e in lutti. Tempo non entusiasma saper che tutto ha il dopo: o buffo senza scopo malnato protoplasma! E non l'Uomo Sapiente, solo, ma se parlassero la pietra, l'erba, il passero, sarebbero pel Niente. Tempo, se dalla guerra restassi e dall'evolvere in Acqua, Fuoco, Polvere questa misera Terra? E invece, o Vecchio pazzo, dà fine ai giochi strani! Sul ciel senza domani farem l'ultimo razzo. Sprofonderebbe in cenere il povero glomerulo dove tronfieggia il querulo sciame dell'Uman Genere. Cesserebbe la trista vicenda in vita e in sogno. Certo. Ma che bisogno c'è mai che il mondo esista? UN RIMORSO I O il tetro Palazzo Madama... la sera... la folla che imbruna... Rivedo la povera cosa, la povera cosa che m'ama: la tanto simile ad una piccola attrice famosa. Ricordo. Sul labbro contratto la voce a pena s'udì: “O Guido! Che cosa t'ho fatto di male per farmi così?” II Sperando che fosse deserto varcammo l'androne, ma sotto le arcate sostavano coppie d'amanti... Fuggimmo all'aperto: le cadde il bel manicotto adorno di mammole doppie. O noto profumo disfatto di mammole e di petit-gris... “Ma Guido, che cosa t'ho fatto di male per farmi così?” III Il tempo che vince non vinca la voce con che mi rimordi, o bionda povera cosa! Nell'occhio azzurro pervinca, nel piccolo corpo ricordi la piccola attrice famosa... Alzò la veletta. S'udì (o misera tanto nell'atto!) ancora: “Che male t'ho fatto, o Guido, per farmi così?” IV Varcammo di tra le rotaie la Piazza Castello, nel viso sferzati dal gelo più vivo. Passavano giovani gaie... Avevo un cattivo sorriso: eppure non sono cattivo, non sono cattivo, se qui mi piange nel cuore disfatto la voce: “Che male t'ho fatto o Guido per farmi così?” L'ULTIMA RINUNZIA “..l'una a soffrire e l'altro a far soffrire”. I — “O Poeta, la tua mamma che ti diede vita e latte, che le guancie s'è disfatte nel cantarti ninna–nanna, lei che non si disfamò, perchè tu ti disfamassi, lei che non si dissetò, perchè tu ti dissetassi, la tua madre ha fame, tanta fame! E cade per fatica, s'accontenta d'una mica; tu soccorri quella santa! Ella ha sete! Nè t'incresca di portarle tu da bere: s'accontenta d'un bicchiere, d'un bicchiere d'acqua fresca”. — “Perchè sali alle mie celle? Che mi ciarli, che mi ciarli? Non concedo mi si parli quando parlo con le Stelle. Mamma ha fame? E vada al tozzo e potrà ben disfamarsi. Mamma ha sete? E vada al pozzo e potrà ben dissetarsi. O s'affacci al limitare, si rivolga alla comare: ma lasciatemi sognare, ma lasciatemi sognare!” II — “O Poeta, la tua mamma che ti diede vita e latte, che le guancie s'è disfatte nel cantarti ninna–nanna, la tua mamma che quand'eri ammalato t'assisteva, non mangiava, non beveva nei tristissimi pensieri, lei che t'era sempre intorno per rifarti sano e forte per contenderti alla Morte, e piangeva, e notte e giorno invocava Gesù Cristo e la Vergine Maria: o Poeta! ed oggi ho visto la tua madre in agonia! Oh! l'atroce dipartita! Chinerai la testa bionda sulla fronte incanutita della santa moribonda?” — “Taciturna è la fortuna. Che mi ciarli, che mi ciarli? Non concedo mi si parli quando parlo con la Luna! Forse che dallo speziale non c'è benda e medicina? Forse che nel casolare non c'è Ghita la vicina? La vicina a confortare, medicina a risanare: ma lasciatemi sognare, ma lasciatemi sognare!” III — “O Poeta, la tua mamma che ti diede vita e latte, che le guancie s'è disfatte nel cantarti ninna–nanna, — odi, anco se t'annoia! — lei che t'ebbe come un sole, che t'apprese le parole che ora sono la tua gioia, la tua mamma in sulla porta fu trovata sola e morta! Sola e morta chi sa come singhiozzando nel tuo nome... Vieni a piangere la cara, prima che altri le ritocchi giù le palpebre sugli occhi e la metta nella bara. Son le donne già raccolte là, nell'opera funesta: ma tu chiamala tre volte s'ella vuol che tu la vesta”. — “Che mi dici, che mi dici, che mi parli tu di lutto? Non intendo ciò che dici quando parlo con il Tutto. Forse che lamentatrici non ci sono a lamentare? Forse che becchini e preti non ci sono a sotterrare? E la fate lamentare e la fate sotterrare: ma lasciatemi sognare, ma lasciatemi sognare! Ma lasciatemi sognare!”

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Argomenti: piccolo corpo,    sogno vano,    torace sano,    povero glomerulo,    tetro palazzo

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