La via del rifugio di Guido Gozzano pagina 3

Testo di pubblico dominio

Durero, una grigia volpe danese il terso muso tendeva verso l'alto, con cupidigia. C'era un profumo mite che mi tornava bimbo: ...un gracile corimbo di primule fiorite. E c'era una blandizie mondana acuta fine: ...di essenze parigine, di sigarette egizie... C'era un profumo forte che inebbriava i sensi: ...i bei capelli densi come matasse attorte... Sotto il prodigio nero di quella chioma unica, vestita di una tunica molle, di foggia “impero”, Marta teneva gli occhi assorti ed un pugnale fra mano, e non so quale volume sui ginocchi. Tagliava, china in non so che taciturna indagine, lentamente le pagine del gran volume intonso. “La mezzanotte, Marta...” Non mi rispose, udivo soltanto il ritmo vivo del ferro nella carta. La taciturna amica con quel volume austero m'apparve nel mistero d'una sibilla antica. “Se le dicessi? Sa ella, forse, il responso, forse nel libro intonso legge la Verità!” E a quella donna, avvezza a me come a un fratello buono, mi parve bello dire la mia tristezza. Ah! Se potessi amare! — Vi giuro, non ho amato ancora: il mio passato è di menzogne amare. — Mi piacquero leggiadre bocche, ma non ho pianto mai, mai per altro pianto che il pianto di mia Madre. Come una sorte trista è sul mio cuore, immagine (se vi piace l'immagine un poco secentista) d'un misterioso scrigno d'ogni tesoro grave, ma ne gittò la chiave l'artefice maligno, l'artefice maligno, in chi sa quali abissi... Marta, se rinvenissi la chiave dello scrigno! Se al cuore che ricusa d'aprirsi, una divota rechi la chiave ignota dentro la palma chiusa, per lei che nel deserto farà sbocciare fiori, saran tutti i tesori d'un cuore appena aperto. Perchè, Marta, non sono cattivo, non è vero? O Marta non è vero, dite, che sono buono? Molte mani soavi apersi a poco a poco come si fa nel gioco, ma non trovai le chiavi. O dita appena tocche, forse amerò domani! e abbandonai le mani e ribaciai le bocche... Ma pesa la menzogna terribilmente! O maschera fittizia che mi esaspera nell'anima che sogna! Perchè, Marta, non sono cattivo, non è vero? O Marta non è vero, dite, che sono buono? Tutte, persin le brutte, mi danno un senso lento di tenerezza... “Sento” — risi — “di amarle tutte! Non sorridete, Marta?” Non sorrideva. Udivo soltanto il ritmo vivo del ferro nella carta. E ripensavo: — Sa ella, forse, il responso, forse nel libro intonso legge la Verità. — “Nel cuore senza fuoco già l'anima è più stanca più d'un capello imbianca, qui, sulla tempia, un poco. Ogni sera più lunge qualche bel sogno è fatto: aspetta il cuore intatto l'amore che non giunge. O beva chi non beve, doni chi si rifiuta prima che sia compiuta la mia favola breve! Fanciullo e verrai tu, compagno alato della seconda cosa bella — il non essere più — verrai con bende e dardi, anche, Fanciullo, a me? O amare prima che si faccia troppo tardi! L'amore giungerà, Marta?” (Nel Libro intonso, pensavo, ecco il responso lesse di Verità) “l'Amore come un sole” (durava nella stanza l'eco d'una speranza data senza parole) “irraggerà l'assedio dell'anima autunnale, se pure questo male non è senza rimedio...” Ella dal Libro, in quiete, tolse l'arme, mi porse l'arme. Rispose: “Forse! — Perchè non v'uccidete?” L'AMICA DI NONNA SPERANZA “...alla sua Speranza la sua Carlotta... 28 giugno 1850” (dall'album: dedica d'una fotografia). Loreto impagliato ed il busto d'Alfieri, di Napoleone, i fiori in cornice (le buone cose di pessimo gusto!) il caminetto un po' tetro, le scatole senza confetti, i frutti di marmo protetti dalle campane di vetro, un qualche raro balocco, gli scrigni fatti di valve, gli oggetti col mònito salve, ricordo, le noci di cocco, Venezia ritratta a musaici, gli acquerelli un po' scialbi, le stampe, i cofani, gli albi dipinti d'anemoni arcaici, le tele di Massimo d'Azeglio, le miniature, i dagherottipi: figure sognanti in perplessità, il gran lampadario vetusto che pende a mezzo il salone e immilla nel quarzo le buone cose di pessimo gusto, il cùcu dell'ore che canta, le sedie parate a damasco chermisi... rinasco, rinasco del mille ottocento cinquanta! I fratellini alla sala quest'oggi non possono accedere che cauti (hanno tolte le federe ai mobili: è giorno di gala). Ma quelli v'irrompono in frotta. È giunta è giunta in vacanza la grande sorella Speranza con la compagna Carlotta. Ha diciassette anni la Nonna! Carlotta quasi lo stesso: da poco hanno avuto il permesso d'aggiungere un cerchio alla gonna; il cerchio ampissimo increspa la gonna a rose turchine: più snella da la crinoline emerge la vita di vespa. Entrambe hanno un scialle ad arancie, a fiori, a uccelli, a ghirlande: divisi i capelli in due bande scendenti a mezzo le guancie. Son giunte da Mantova senza stanchezza al Lago Maggiore sebbene quattordici ore viaggiassero in diligenza. Han fatto l'esame più egregio di tutta la classe. Che affanno passato terribile! Hanno lasciato per sempre il collegio. O Belgirate tranquilla! La sala dà sul giardino: fra i tronchi diritti scintilla lo specchio del Lago turchino. Silenzio, bambini! Le amiche — bambini fate pian piano! — le amiche provano al piano un fascio di musiche antiche: motivi un poco artefatti nel secentismo fronzuto di Arcangelo del Leuto e di Alessandro Scarlatti; innamorati dispersi, gementi il “core” e “l'augello”, languori del Giordanello in dolci bruttissimi versi: “...caro mio ben credimi almen, senza di te, languisce il cor! Il tuo fedel sospira ognor, cessa crudel tanto rigor!” Carlotta canta. Speranza suona. Dolce e fiorita si schiude alla breve romanza di mille promesse la vita. O musica, lieve sussurro! E già nell'animo ascoso d'ognuna sorride lo sposo promesso: il Principe Azzurro, lo sposo dei sogni sognati... O margherite in collegio sfogliate per sortilegio sui teneri versi del Prati! Giungeva lo Zio, signore virtuoso, di molto riguardo, ligio al Passato al Lombardo–Veneto e all'Imperatore. Giungeva la Zia ben degna consorte, molto dabbene, ligia al Passato sebbene amante del Re di Sardegna. “Baciate la mano alli Zii!” dicevano il Babbo e la Mamma, e alzavano il volto di fiamma ai piccolini restii. “E questa è l'amica in vacanza: madamigella Carlotta Capenna: l'alunna più dotta, l'amica più cara a Speranza”. “Ma bene... ma bene... ma bene...” — diceva gesuitico e tardo lo Zio di molto riguardo — “...ma bene... ma bene... ma bene... Capenna? Conobbi un Arturo Capenna... Capenna... Capenna... Sicuro! Alla Corte di Vienna! Sicuro... sicuro... sicuro...” “Gradiscono un po' di marsala?” — “Signora Sorella: magari”. E sulle poltrone di gala sedevano in bei conversari. “...ma la Brambilla non seppe... — È pingue già per l'Ernani; la Scala non ha più soprani... — Che vena quel Verdi Giuseppe! “...nel marzo avremo un lavoro — alla Fenice: m'han detto — nuovissimo: il Rigoletto; si parla d'un capolavoro. — “...azzurri si portano o grigi? — E questi orecchini! Che bei rubini! E questi cammei?... — La gran novità di Parigi...” “...Radetzky? Ma che? L'armistizio... la pace, la pace che regna... Quel giovine Re di Sardegna è uomo di molto giudizio!” “È certo uno spirito insonne... — ...e forte e vigile e scaltro.” “È bello? — Non bello: tutt'altro... — Gli piacciono molto le donne. “Speranza!” (chinavansi piano, in tono un po' sibillino) “Carlotta! Scendete in giardino: andate a giocare al volano!” Allora le amiche serene lasciavano con un perfetto inchino di molto rispetto gli Zii molto dabbene. Oimè! Chè, giocando, un volano, troppo respinto all'assalto, non più ridiscese dall'alto dei rami d'un ippocastano! S'inchinano sui balaustri le amiche e guardano il Lago, sognando l'amore presago nei loro bei sogni trilustri. “... se tu vedessi che bei

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