L'arte di prender marito di Paolo Mantegazza pagina 23

Testo di pubblico dominio

un sospiro può essere una tragedia. Ah! se gli uomini conoscessero le donne e le donne conoscessero gli uomini prima di abbordare il santissimo sacramento del conjungo; quanti matrimonii di meno, ma anche quanti e quanti infelici di meno! * * * Io ho sempre raccapricciato davanti alla presunzione goffa e sfacciata, con cui uomini e donne si danno la mano per sempre, senza conoscersi a vicenda non solo; ma senza conoscere di che sia fatta la pasta umana, senza neppure conoscere l'abbici dei caratteri, senza aver letto la prima pagina del libro dell'anima. * * * La colpa è di nessuno e di tutti. Di nessuno, perchè si nasce in una società fondata su false basi, perchè si imparano cento cose inutili, e si nuota nella più tenebrosa ignoranza di ciò che è necessario al sano esercizio della vita. Quanti e quante hanno letto Dante e Shakespeare, quanti e quante suonano del Beethowen e parlano in tre o quattro lingue, e non sanno che cosa sia il carattere; quali ne sieno le origini, quali le leve per muoverlo verso il bene, per affinarlo, per attonarlo. * * * Che cosa diresti, amor mio, se morto improvvisamente il macchinista di un treno in partenza, si chiamasse il primo venuto; fosse poi un facchino o un avvocato; un giornalista o un medico e gli si dicesse: —Animo, montate in macchina e guidate il treno alla sua destinazione. * * * In questa somma incomincia a metter tu per conto tuo più che puoi di amore, di bontà, di indulgenza, di tenerezze, di accorgimenti delicati e di care divinazioni; e allora la cifra totale riuscirà una grossa somma, anche se il compagno tuo mettesse una piccola parte di quei tesori dell'anima, che sono poi gli elementi della felicità. * * * Scusami il paragone troppo grossolano e troppo aritmetico; supponi che la felicità sia rappresentata dal numero cento e a raggiunger questa cifra dovete concorrere in due. Se tu incominci a metter di parte tua settanta o ottanta, al tuo compagno non rimarrà che a dare una quota di trenta o di venti, e la somma tornerà sempre. Se puoi, dà novanta; sarà più facile trovare chi ti dia dieci. Conosco matrimonii molto felici, nei quali la donna dà novantanove, e l'uomo non dà che uno. La buona moglie non rimprovera il socio troppo avaro. La somma torna sempre e la felicità è perfetta. Guai a te, se tu pretendessi dal marito che desse non più, non meno di cinquanta. La tua esigenza lo offenderebbe e il suo tributo alle gioie domestiche scenderebbe subito a proporzioni minime. * * * Pur troppo la donna deve dar sempre più di quel che riceve. Essa è destinata dalla natura al sagrifizio, alla generosità, e sopra ogni altare incensi e tributi e adorazioni son più di femmine che di uomini. * * * Esigi poco, esigi pochissimo da tuo marito, e avrai fatto più che metà del cammino, che conduce alla pace domestica. Così facendo, tutto il di più che ti sarà concesso dall'uomo sempre egoista e sempre meno amoroso della donna, ti sembrerà un dono inaspettato, una cara sorpresa. * * * Se invece ti appoggiassi al diritto delle genti e misurassi il dare e l'avere nella felicità della famiglia colla bilancia della giustizia, ti troveresti dinanzi alle più spiacevoli sorprese, alle più amare delusioni. * * * Le fanciulle quando prendono marito conoscono l'uomo dai romanzi. È per essi o un angelo o un demonio; e siccome naturalmente lo sposo non può, non deve essere un demonio, non può e non deve essere che un angelo. Invece gli uomini, quelli che passeggiano per le vie della città e non nelle pagine dei romanzi, non sono che rare volte demonii; ma angeli non sono mai. Sono animaletti graziosi (quando son belli), che amano sè stessi prima di tutti gli altri e quindi anche prima della sposa; sono bipedi implumi ed anche intelligenti, che nella moglie cercano un aumento di agiatezza o una governante che diriga la casa, una macchinetta gentile e bella, con cui si possa perpetuare la famiglia; una compagna nelle gioie, una infermiera nelle malattie. Essi si mettono un po' di poesia sulla pelle, come mettono i guanti sulle mani e le scarpe sui piedi; ma se la levano subito, appena sono nell'intimità della loro casa. E come gettano via i guanti sulla soglia e si levan le scarpe nella camera da letto per mettersi le babbuccia, così si levan la poesia, che li infastidisce e li secca. * * * Non immaginarti mai, che un fidanzato serbi intatta la poesia di cui ti circonda, una volta che sarà divenuto marito. L'uomo è come l'usignuolo; non canta che quando fa all'amore. E almeno l'usignuolo ad ogni primavera rinnova i suoi divini gorgheggi. L'uomo è meno di lui, perchè non mette fuori i trilli della sua poesia che in una sola primavera; quella del pretendente. Talvolta anzi è così povero di poesia, che è costretto a comprarla o a prenderla in prestito. Fra gli altri ho conosciuto un poetico giovanotto, di cui ebbi occasione di leggere le lettere, che scriveva alla fidanzata. Erano letteralmente copiate dal Foscolo e dal Goethe. Meno male che la sposa non aveva mai letto nè Jacopo Ortis nè il Werther. * * * Son cose tristi e brutte queste che ti scrivo, o angelo mio, ma è meglio saperle prima che poi. Serba per te sacra e intatta la poesia che hai nell'anima e che io e la mamma abbiamo sempre coltivato in te. Con essa ornerai anche la prosa di tuo marito. Purchè in casa ci sieno dei fiori, che cosa importa sapere in qual giardino son stati colti? Frammenti di un codice di diplomazia matrimoniale. Una volta che il pretendente è divenuto fidanzato e da fidanzato marito, il problema della felicità domestica non è ancora risolto. Lo dicono tutte le centinaia e migliaia di infelici, che invocano il divorzio e invano lo aspettano da un Parlamento imbelle e da Ministeri fatti a sua immagine e somiglianza. * * * E ben raro che in un matrimonio infelice la colpa sia tutta del marito o tutta della moglie. Nel più dei casi la colpa è di tutti e due. Talvolta se la dividono in due metà così eguali, che davvero, guardandosi in faccia, potrebbero ridere e gettarsi l'un l'altro con ironia semigaia un Tu l'as voulu, Georges Dandin! Comincia dunque tu stessa, figliuola mia, a portare alla grande associazione della felicità in due, tutta la tua parte di contributo. Tu devi considerare tuo marito, come una parte di te stessa, di cui devi occuparti, come lo fai per le tue mani, per la tua faccia, pei tuoi visceri. Tu governi mani e faccia e visceri, colle regole dell'igiene e sulla guida della tua esperienza. E tu devi governare questa altra metà di te stessa, che è il tuo sposo, colle regole di una sana e sapiente diplomazia. * * * Non spaventarti di questa brutta parola. Se nel mondo politico diplomazia vuol dire l'arte d'ingannarsi a vicenda, nel mondo del matrimonio significa soltanto saper maneggiare l'altra metà di sè stessi con accorta delicatezza, con affetto costante, con profondo conoscimento del cuore umano. * * * E per mostrarti subito l'indirizzo di questa diplomazia domestica ti dirò, che deve ispirarsi tutta quanta al più santo dei precetti fondamentali del Vangelo, corretto però e migliorato: Il Vangelo dice: Amerai il prossimo come te stesso. E la moglie deve dire: Amerai tuo marito più di te stessa. A meno di aver sposato un uomo indegno di questo nome, un egoista di ghiaccio, un vizioso da bordello, un eunuco del cuore; egli ti amerà sempre e molto, pur che tu lo ami sempre e molto. Amor che a nullo amato amar perdona è un verso solo della Divina Commedia, ma è divino davvero, perchè governa quasi tutta la legislazione dell'amore, e finchè l'uomo pesterà coi suoi piedi questo pianeta, potranno mutare le leggi, le consuetudini dell'umana famiglia, ma l'amore sarà sempre il figlio dell'amore. * * * Esigi poco, pochissimo da tuo marito, ed egli ti darà molto, moltissimo. Sii con lui molto indulgente e purchè egli sia onesto e ti ami, non impennarti ad ogni sua distrazione, ad ogni suo capriccio. Gli uomini, vedi, non sono come le donne, che

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Argomenti: due metà,    santissimo sacramento,    sano esercizio,    cifra totale,    paragone troppo

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