La trovatella di Milano di Carolina Invernizio pagina 7

Testo di pubblico dominio

proprio, siete sempre in tempo a ritirarvi. Egli scosse il capo. —Mentirei se dicessi che le vostre parole non mi facciano male, tuttavia non rinunzio ad un'unione ardentemente desiderata, perchè sono certo che un giorno cambierete pensiero a mio riguardo e giungerò a toccare il vostro cuore. Eravi una dolcezza infinita in quest'ultima frase, ma Adriana rimase fredda, seria e nello sguardo che rivolse al suo fidanzato, eravi un'espressione così strana, che Diego trasalì, come se l'innocente vittima gli avesse letto nell'anima! CAPITOLO SETTIMO. Le conseguenze di un'infamia. Chiuso nel suo studio, seduto dinanzi ad uno scrittoio, Gabriele Terzi rileggeva per la quarta volta una lettera di Adriana, chiedendosi se sognava o diveniva pazzo. La lettera diceva: «Signore,—Quando riceverete questa mia, sarò già lungi da Milano con mio marito. I vostri calcoli con me, non sono riusciti e se ancora vi resta un po' di coscienza, invece di mettervi alla caccia di qualche altra ricca ereditiera, sposate la vostra guantaia di Porta Vittoria, la bella Maria, che per un giovane astuto come voi, potrà recarvi molto profitto—Adriana.» —Ah! questo è troppo—proruppe Gabriele livido, febbrile, esaltato,—Ella si prende giuoco di me. Maritata?… No, non è possibile. E chi è la guantaia di cui mi parla…? Io non ci vedo più, mi sembra che il cervello mi si turbi… è un orribile incubo questo… Si rovesciò sulla seggiola come annientato, torcendo fra le dita convulse il foglio, mentre la bocca gli si raggrinzava agli angoli e gli occhi si empivano di lacrime. Soffriva spaventosamente ed era da quasi un mese che aveva il cuore straziato. Perchè la contessina senza una parola, una spiegazione, non si era più fatta vedere da lui, non aveva mai risposto alle sue lettere traboccanti di amore, di dolore disperato. Che era successo? Che mai le aveva fatto? La sua coscienza nulla gli rimproverava: egli non viveva che per Adriana; l'amava con culto, santamente, fino alla febbre, alla follia. E dopo un mese di torture inaudite, non trovando forse di averlo reso abbastanza infelice, la giovine si prendeva giuoco del suo dolore, con quella lettera enigmatica, insultante. Ricacciò con forza le lacrime e risoluto si alzò. Non credeva alle parole di lei: era un tranello. Voleva vederla per l'ultima volta, parlarle, esigere una spiegazione. Se ella ricusava, sarebbe diventato cattivo, crudele. Uscì di casa sconvolto, agitato ed aveva dipinto sul volto tanto strazio, che alcune persone si fermarono a guardarlo. —Colui medita un suicidio,—pensavano. Giunto dinanzi al palazzo di Adriana, si sentì piegare le gambe e dovette appoggiarsi al muro per non cadere. Aveva scorto l'ampio portone chiuso, le finestre ermeticamente serrate. Il palazzo deserto, triste, cupo, aveva l'aspetto lugubre di una tomba. Dio… Dio… era possibile che la giovine avesse detto la verità? Che era avvenuto? Quale orribile trama avevano ordito contro di lui? Era possibile che Adriana avesse così dimenticate le sue promesse, i suoi giuramenti, se non fosse stata spinta da qualche grave motivo? Ma in qual modo conoscerlo? A chi rivolgersi? Un sudore d'angoscia gli scorreva sul volto. Si ricondusse a stento a casa, si gettò sul letto, ed ivi rimase per lunghe ore immobile, come se fosse morto, cogli occhi spalancati, vitrei, lucidi, la faccia color cera, le labbra convulse, semiaperte. Pensieri terribili si urtavano nel suo cervello: la sua mente non poteva distaccarsi da Adriana e si chiedeva chi fosse l'uomo che gliel'aveva rapita. Il nome del marchese Diego gli corse sulla bocca e lo ripetè più volte con una specie di delirio. Sì… doveva essere lui, il preferito del conte Patta. Ma Adriana non aveva sempre detto che l'odiava? Come poteva darsi a colui senza vergogna, senza rimorso? Gabriele si strinse le tempia con ambe le mani: sembrava gli scoppiassero, aveva un vulcano nella testa… Non poteva persuadersi del tradimento di Adriana. Che mai aveva da rimproverargli? Come poteva averlo scacciato ad un tratto dal suo cuore? No… egli non meritava quell'abbandono, nè poteva accettarlo così facilmente. Alla sera, alquanto più calmo, decise di recarsi in traccia della guantaia, della quale si parlava nella lettera della contessina. —Ella potrà spiegarmi questo mistero che non comprendo,—mormorò. Si vestì in fretta, rinfrescossi il viso e senza neppure gettare uno sguardo allo specchio, uscì di casa e si diresse tosto a Porta Vittoria. Non tardò a ritrovare il negozio di Maria. La giovine era seduta dietro il banco, vicino ad Annetta. Il pallore dal suo viso nulla toglieva allo splendore della sua bellezza affascinante, tanto che Gabriele ne fu colpito al primo vederla e rimase tocco dalla grazia con cui l'accolse, quando entrò in negozio, credendolo un avventore. Si era alzata, mostrando la persona ben formata, provocante e con un dolce sorriso: —Che cosa desidera il signore?—-chiese. —Vorrei parlare un momento con voi. Maria fece un atto di stupore, mentre Annetta si alzava a sua volta, esclamando con tono brusco: —Che vuole da mia figlia?… —Ah! è vostra figlia—-disse Gabriele—tanto meglio: quello che ho da chiedere a lei, non vi deve essere ignoto. Il pallore di Maria aumentò: presentiva un pericolo che si avvicinava. —Io non vi comprendo, signore—balbettò—non vi conosco… La prima impressione provata da Gabriele era scomparsa: nei suoi occhi brillava un lampo di collera. —Ahi non mi conoscete?—proruppe.—Perchè adunque lasciate credere che io sia vostro amante? —Io! Io!—gridò con indignazione Maria, mentre Annetta metteva i pugni chiusi sotto il naso del giovane, esclamando inviperita: —Signore, con chi crede di parlare? Sappia che nessuno ci ha mai tolto il rispetto e se lei non gira di largo, le darò tal lezione da ricordarsi per un pezzo di me. Gabriele rimase fermo, impassibile. —Non mi muoverò di qui—disse—senza aver avuto una spiegazione con vostra figlia. Il suono della sua voce, il suo contegno energico imposero alla popolana: ella amava la franchezza, il coraggio. —Ebbene, attenda un momento che chiudo il negozio—replicò più calma—non mi piace far sapere i fatti miei a nessuno… Maria fissava il giovane con sguardi supplichevoli, accrescendo i sospetti di lui… Invece ella lo temeva senza sapere il perchè; una disgrazia la minacciava, ne era certa. Pochi minuti dopo, Gabriele e le due donne si trovavano nella retrobottega, illuminata da una lucerna a petrolio. Annetta aveva offerto al giovane da sedere, ma egli rimase in piedi, appoggiato alla tavola, fissando gli sguardi ardenti su Maria, che non potè sostenerli, si sentì venir meno… —Sapete chi sono?—chiese egli lentamente… —No, lo ripeto, non vi conosco,—rispose tremante Maria. —Mi chiamo Gabriele Terzi. Un grido sfuggi dalle labbra della guantaia. —Gabriele Terzi… voi!—-proruppe con accento vibrata, convulso—Signore, volete prendervi giuoco di me. Annetta guardava impensierita i due giovani, senza nulla comprendere. —Non ho affatto la volontà di scherzare, credetelo; vi ho detto il mio nome, che voi dovete conoscere. —Ebbene, sì, conosco questo nome e la persona che lo porta—replicò con impeto Maria—ma voi… non so chi siete… —Perchè mentire? Sapete bene che nessun altro all'infuori di me porta un tal nome; il marchese Diego deve avervelo detto per farvi sua complice nella trama, che doveva perdermi nell'anima della contessina Adriana… Maria credeva diventar pazza: davanti agli occhi le passavano dei bagliori sinistri e slanciandosi verso il giovane, gli strinse il braccio con violenza, esclamando: —Signore, cessate ve ne prego una così orribile commedia o non rispondo più di me stessa: il marchese Diego non lo conosco, ve lo giuro, mi pare bensì di averlo sentito nominare… ma non comprendo… ciò che vogliate dire… Eravi tanta sincerità nell'accento straziante della bella

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Argomenti: orribile incubo,    volto tanto,    orribile trama,    contegno energico,    orribile commedia

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