Le sottilissime astuzie di Bertoldo di Giulio Cesare Croce pagina 12

Testo di pubblico dominio

è dar la lana, che la pecora. RE Peccato vecchio, penitenza nuova. BERTOLDO Pissa chiaro, indorme al medico. RE Il menar delle mani dispiace fino ai pedocchi. BERTOLDO E il menar de' piedi dispiace a chi è tratto giù dalle forche. RE Fra un poco tu sarai uno di quelli. BERTOLDO Inanzi orbo, che indovino. RE Orsù, lasciamo andare le dispute da un lato. Olà, cavaliero di giustizia, e voi altri ministri, pigliate costui e menatelo or ora a impendere a un arbore, né si dia orecchie alle sue parole perché costui è un villano tristo e scelerato che ha il diavolo nell'ampolla e un giorno sarebbe buono per rovinare il mio stato. Su, presto, conducetelo via, né si tardi più. BERTOLDO Cosa fatta in fretta non fu mai buona. RE Troppo grave è stato l'oltraggio che tu hai fatto alla Regina. BERTOLDO Chi ha manco ragione, grida più forte. Lasciami almeno dire il fatto mio. RE Alle tre si fa cavallo e tu glien'hai fatte più di quattro, che gli sono state di troppo affronto. Va' pur via. BERTOLDO Per aver detto la verità ho da patir la morte? Deh, non esser così crudele contra di me, ti prego. RE Tu sai bene quello che dice il proverbio: odi, vedi e tace, se vuoi vivere in pace; e, chi vuol bene a madonna, vuol bene a messere. Però non mi star più a intuonar l'orecchie, perché quanto più preghi, più gitti indarno le parole e pesti acqua in mortaio. Esclamazione di Bertoldo per la sentenza data dal Re contra di lui. BERTOLDO Orsù pure, il proverbio dice il vero: o servi come servo, o fuggi come cervo, perché corvi con corvi non si cavano mai gli occhi, e i parenti si vedono condurre alla forca, ma fra loro non si appiccano; però tutto quello che luce non è oro, ma chi non fa non falla; parola detta e pietra tratta non può tornar a dietro, e un torso di verze è cagione talora della morte di mille mosche; ma tal mi ride in bocca che ha il rasoio sotto, onde meglio è un'oncia di libertà, che dieci libre d'oro, perché alla fine lupo non mangia di lupo, e però per cantare il corvo perse il formaggio, come ho fatto io, che, per aver canzonato in amaro son ridotto al buco del gatto, né mi scamperiano le ali di Dedalo, ché il Re ha già dato la sentenza e la sua parola non può tornare a dietro, ancorché si dica che chi può fare può anco disfare. Astuzia ultima di Bertoldo per campar la vita, seguitando il suo dire. BERTOLDO Orsù pur Bertoldo, qui ti bisogna far un animo di leone e mostrar la tua generosità a questo passo, poiché tanto dura il dolore quanto tarda il morire, e quello che non si può vendere, si deve donare. Eccomi dunque pronto, o Re, a essequire quanto hai ordinato. Ma, prima ch'io muoia, io bramo una grazia da te e sarà l'ultima che mi farai più. RE Eccomi pronto per fare quello che domandi, ma di' presto, ché m'hai fastidito con quel tuo longo cianciume. BERTOLDO Comanda, ti prego, a questi tuoi ministri, che non mi appicchino fin tanto che io non trovo una pianta o arbore che mi piaccia, che poi morirò contento. RE Questa grazia ti sia concessa. Su, conducetelo via, né lo sospenderete se non a una pianta che gli piaccia, sotto pena della mia disgrazia. Vuoi altro da me? BERTOLDO Altro non ti chieggio, e ti rendo grazie infinite. RE Orsù, a Dio Bertoldo, abbi pazienza per questa volta. Bertoldo non trova arborepianta che gli piaccia, onde i ministri infastiditi lo lasciano andare. Non comprese il Re la metafora di Bertoldo, onde costoro lo menarono in un bosco pieno di varie piante, e, quivi non ve n'essendo nissuna che gli piacesse, lo condussero per tutti i boschi d'Italia, né mai poterono trovare pianta, arbore né tronco che gli piacesse; onde, fastiditi dal lungo viaggio e ancora avendo conosciuto la sua grande astuzia, lo slegarono e lo posero in libertà, e ritornati al Re gli narrarono il tutto. Il quale, oltra modo si stupì del gran giudicio e sottile ingegno di costui, tenendolo per uno de' più accorti cervelli che fossero al mondo. Il Re manda di nuovo a cercar Bertoldo e trovatolo va in persona dove sta e con preghi e gran promesse lo fa tornare alla corte. Passato lo sdegno al Re, mandò di nuovo a cercar Bertoldo e, trovatolo, lo fece pregare a tornare in corte, che il tutto gli era stato perdonato; ed esso gli mandò a dire che cavoli riscaldati né amore ritornato non fu mai buono, e che non v'era tesoro che pagasse la libertà. Onde il Re vi andò in persona e lo pregò e supplicò tanto che al fine (benché contra sua voglia) lo condusse in corte e gli fece perdonare alla Regina, e volse ch'ei stesse sempre appresso della sua corona, né faceva cosa alcuna senza il consiglio di lui. E mentre ch'ei stette in quella corte, ogni cosa andò di bene in meglio; ma essendo egli usato a mangiar cibi grossi e frutti selvatichi, tosto ch'esso incominciò a gustar di quelle vivande gentili e delicate s'infermò gravemente a morte, con grandissimo dispiacere del Re e della Regina, i quali dopo la sua morte vissero poi sempre sotto una vita trista e infelice. Morte di Bertoldo e sua sepoltura. I medici non conoscendo la sua complessione, gli facevano i rimedi che si fanno alli gentiluomini e cavalieri di corte; ma esso, che conosceva la sua natura, teneva domandato a quelli che gli portassero una pentola di fagiuoli con la cipolla dentro e delle rape cotte sotto la cenere, perché sapeva lui che con tal cibi saria guarito; ma i detti medici mai non lo volsero contentare. Così finì sua vita con questa volontà, colui ch'era tenuto un altro Esopo da tutti, anzi un oracolo, e fu pianto da tutta la corte, e il Re lo fece sepelire con grandissimo onore, e quei medici si pentirono di non gli aver dato quant'esso gli addimandava nell'ultimo, e conobbero che egli era morto per non l'aver essi contentato. E il Re, a perpetua memoria di questo grand'uomo, fece scolpire nella sua sepoltura in lettere d'oro i seguenti versi in forma d'epitafio, facendo vestire di nero tutta la sua corte, come se fosse morto uno dei primati di quella. Epitafio di Bertoldo. In questa tomba tenebrosa e scura Giace un villan di sì difforme aspetto, Che più d'orso che d'uomo avea figura; Ma di tant'alto e nobile intelletto Che stupir fece il mondo e la natura. Mentr'egli visse e fu Bertoldo detto, Fu grato al Re; morì con aspri duoli Per non poter mangiar rape e fagiuoli. Detti sentenziosi di Bertoldo innanzi la sua morte. Chi è uso alle rape non vada ai pasticci. Chi è uso alla zappa non pigli la lancia. Chi è uso al campo non vada alla corte. Chi vincerà il suo appetito sarà un gran capitano. Chi non mangia da tutte due le bande, non è buona simia. Chi guarda fisso nel sole e non strenuta, guardati da quello. Chi ogni dì si veste di nuovo, grida ognor con il sartore. Chi lascia stare i fatti suoi per far quelli d'altri, ha poco senno. Chi vuol salutare ognuno frusta presto la berretta. Chi batte la moglie dà da mormorare ai vicini. Chi misura il suo stato non sarà mai mendico. Chi gratta la rogna d'altri la sua rinfresca. Chi promette nel bosco, deve osservare la parola nella città. Chi ha paura degli uccelli non semini il miglio. Chi farà come il riccio starà sempre sicuro in casa. Chi va in viaggio porti il pane in seno e il bastone in mano. Chi crede ai sogni fonda i suoi pensieri nella nebbia. Chi pone la sua speranza in terra, si discosta dal cielo. Chi è pigro delle mani non vada a tinello. Chi ti consiglia in cambio d'aiutarti, non è buon amico. Chi castiga la cagna, il cane sta discosto. Chi imita la formica l'estate, non va per pane in presto il verno. Chi tira il sasso in alto, gli torna a dare sul capo. Chi va alla festa e ballar non sa, ingombra il loco e altro non fa. Chi tuol moglie per robba, la borsa va a marito. Chi dà il maneggio di casa alle donne, ha sempre le filiere all'uscio. Chi non può portar la sua pelle è una trista pecora. Chi usa la robba in mala parte, alla morte vede le sue partite. Chi loda uno innanzi che l'abbia praticato,

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Argomenti: lungo viaggio,    villano tristo,    tanto dura,    bosco pieno,    sottile ingegno

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