Le sottilissime astuzie di Bertoldo di Giulio Cesare Croce pagina 5

Testo di pubblico dominio

mangiano tutti due ad un'istessa conca? FAGOTTO Quant'è che tu non hai mangiato rape? BERTOLDO Quant'è che non t'è stato dato la coperta? FAGOTTO Sei tu un bufalo o una pecora? BERTOLDO Non mettere in ballo i tuoi parenti. FAGOTTO Sin quando starai tu a lasciar da parte le tue astuzie? BERTOLDO Quando tu lascierai stare di leccare i piatti di cucina. FAGOTTO Al villano non gli dar bacchetta in mano. BERTOLDO Al porco e alla rana non gli levare il fango. FAGOTTO Il corvo mai non portò nuova buona. BERTOLDO Il nibbio e l'avoltore vanno sempre dietro le carogne. FAGOTTO Io sono uomo da bene e ben creato. BERTOLDO Chi si loda s'imbroda. FAGOTTO Il villano è un mal animale. BERTOLDO E l'adulatore è un brutto mostro. FAGOTTO Non fu mai villano senza malizia. BERTOLDO Non fu mai gallo senza cresta, né parassito senza adulazione. FAGOTTO Le tue scarpe hanno aperta la bocca. BERTOLDO Le ridono di te, che sei una bestia. FAGOTTO Le tue calze sono tutte rappezzate. BERTOLDO Meglio è avere rappezzato le calze che il mostaccio come hai tu. Avea costui molti segni sulla faccia che gli erano stati dati per suo benemerito; dove che, sentendosi toccare sul vivo, né sapendo che si rispondere, venne rosso in viso come il fuoco per vergogna, tanto più che tutta la corte cominciò a ridere di questo motto, onde cominciossi ad acchettare; e volontieri si saria partito se quei cavalieri non l'avessero trattenuto. Ma Bertoldo, che per aver ragionato assai aveva la bocca piena di saliva, né sapendo dove sputare, essendo ornata la sala tutta e le pareti di panni di seta e d'oro, disse al Re: «Dove vuoi tu ch'io sputi?» Disse il Re: «Va, sputa in piazza». Allora Bertoldo voltossi verso Fagotto, qual era tutto calvo, come già vi dissi, gli sputò in mezo della testa, onde costui alterato si querelò innanzi al Re dell'ingiuria fatta. Disse Bertoldo: «Il Re mi ha dato licenza ch'io sputi in piazza; e qual è la più bella piazza quanto la tua testa? Non si dice per proverbio, testa calva, piazza da pedocchi? Ecco dunque ch'io non ho fatto errore alcuno, e che io ho sputato in piazza secondo la commissione del Re». Tutta la corte diede ragione a Bertoldo, e Fagotto spazzandosi la zucca convenne aver pazienza; e avrebbe voluto esser digiuno di essersi mai impacciato con lui; e tutti n'ebbero gran piacere perché costui faceva professione di bellissimo ingegno e dava delle canzoni a tutti; e ora non ardiva a pena di alzare più gli occhi per vergogna, e fu quasi per andarsi a impiccare per il dispiacere. E perché era sera, il Re accomiatò tutti i suoi baroni e disse a Bertoldo che tornasse da lui il dì seguente, ma che non fusse né nudo né vestito. Astuzia galante di Bertoldo nel tornare innanzi al Re nel modo ch'ei gli aveva detto. Venuta la mattina, Bertoldo comparve alla presenza del Re involto in una rete da pescare, e il Re, vedutolo a quella maniera, gli disse: RE Perché sei tu comparso così alla presenza mia? BERTOLDO Non dicesti tu ch'io tornassi a te questa mane e che io non fosse né nudo né vestito? RE Sì, dissi. BERTOLDO Ed eccomi involto in questa rete, con la quale parte copro delle membra, e parte restano scoperte. RE Dove sei stato fino ad ora? BERTOLDO Dove son stato più non sono, e dove son ora non vi può stare altri che me. RE Che cosa fa tuo padre, tua madre, tuo fratello e tua sorella? BERTOLDO Mio padre d'un danno ne fa due; mia madre fa alla sua vicina quello che non gli farà mai più; mio fratello quanti ne trova, tanti ne ammazza; e mia sorella piange di quello ch'ella ha riso tutto quest'anno. RE Dichiarami questo imbroglio. BERTOLDO Mio padre, nel campo desiderando di chiudere un sentiero, vi pone dei spini; onde quei che solevano passare per detto sentiero, passano or di qua or di là dai detti spini, a tale che d'un solo sentiero, che vi era, ne viene a far due. Mia madre serra gli occhi a una sua vicina che muore, cosa che non gli farà mai più. Mio fratello, stando al sole, ammazza quanti pedocchi trova nella camiscia. Mia sorella tutto quest'anno s'è dato trastullo con il suo marito, e ora piange nel letto i dolori del parto. RE Qual è il più lungo giorno che sia? BERTOLDO Quello che si sta senza mangiare. RE Qual è la più gran pazzia dell'uomo? BERTOLDO Il riputarsi savio. RE Per che causa vien più presto canuta la testa che la barba? BERTOLDO Perché i capelli son nati prima della barba. RE Qual è quel figlio che pela la barba a sua madre? BERTOLDO Il fuso. RE Qual è quell'erba che fin i ciechi la conoscono? BERTOLDO L'ortica. RE Qual è quella femina che balla sempre nell'acqua e mai non si lava i piedi? BERTOLDO La barca. RE Qual è colui che si serra in prigione da sua posta? BERTOLDO Il bigatto, o cavaliero da seta. RE Qual è il più tristo fiore che sia? BERTOLDO Quello ch'esce della botte quando si finisce il vino. RE Qual è la più sfacciata cosa che sia? BERTOLDO Il vento, che si caccia fin sotto i panni delle donne. RE Qual è colei che nessun non la vuole in casa? BERTOLDO La colpa. RE Qual è quel storto che taglia le gambe a tutti i dritti? BERTOLDO Il ferro, overo falce da mietere il grano. RE Qual è la più gramma femina che sia? BERTOLDO La gramma da fare il pane. RE Quanti anni hai tu? BERTOLDO Chi numera gli anni fa conto con la morte. RE Qual è la più bianca cosa che sia? BERTOLDO Il giorno. RE Più del latte? BERTOLDO Più del latte e della neve ancora. RE Se tu non mi fai vedere questo, io ti voglio far battere duramente. BERTOLDO Oh infelicità e miseria delle corti. Astuzia ingegnosa di Bertoldo, per non aver delle busse. Andò dunque Bertoldo e prese un secchio di latte e secretamente lo portò nella camera del Re e serrò tutte le finestre, ed era mezogiorno ed entrando il Re nella camera venne a urtare nel detto secchio di latte e lo roversò tutto, e poco vi mancò ch'ei non cadesse con la faccia per terra; onde tutto irato fece aprire i balconi e, vedendo quel latte sparso per terra ed esso avere urtato in quel secchio, cominciò a gridare, dicendo: RE Chi è stato colui che ha posto quel secchio di latte nella camera mia e ha serrato le finestre acciò ch'io v'urti dentro? BERTOLDO Sono stato quell'io, per provarti che il giorno è più bianco e più chiaro del latte, perché se il latte fosse stato più bianco del giorno egli t'avria fatto lume per la camera e non averesti urtato nel secchio, come hai fatto. RE Tu sei un astuto villano e a ogni cesto trovi il suo manico. Ma chi è questo che viene in qua? Costui è un messo della Regina, certo, e ha una lettera in mano. Tirati un poco da banda, ch'io intenda quello che dice costui. BERTOLDO Io mi ritiro e il Ciel voglia ch'ella non sia trista nuova per me. Umor fantastico saltato nel capo alle donne della città. Venne dunque il messo inanzi, e fatto la debita riverenza al Re, gli porse la carta in mano, il cui contenuto era questo, che le matrone di quella città, cioè le più nobili, bramavano, anzi pur dimandavano liberamente al Re di potere esse ancora entrare né consigli e reggimento della città, come erano i loro mariti, e metter fave e balottare, e udire le querele e sentenziare, e in conclusione di fare anch'esse tutto quello che facevano quelli del Senato e primati della città, allegando che ve n'erano state dell'altre che avevano retto imperii e regni con tanta prudenza, e più tal ora che non avevano fatto molti re e imperatori passati, e che molte erano uscite alla campagna armate e avevano diffesi i loro stati e regni valorosamente, e che perciò il Re non doveva rifiutarle ma accettarle e far partecipe ancor loro di quanto addimandavano, perché pur loro pareva strana cosa che gli uomini avessero il dominio d'ogni cosa e che esse fossero tenute per nulla; alludendo nel fine che tanto esse sariano secrete nelle cose d'importanza quanto gli uomini e forse più, e di ciò la

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Argomenti: piazza secondo,    astuzia galante,    lungo giorno,    tristo fiore,    astuto villano

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