L'Olimpia di Giambattista Della Porta pagina 2

Testo di pubblico dominio

intanto, la madre d'Olimpia, trattò matrimonio col capitan Trasilogo nostro vicino; e come quello che ne stava innamorato, s'accordò subito: talché s'inviò a chiamare Olimpia, ché fusse ritornata a Napoli. Come ella giunse, cominciò Sennia con belle parole a dirle che l'avea maritata, e pregandola ci consentisse e le desse quell'ultima consolazione che tanto tempo avea disiato da lei; percioché sapendo la ricchezza, il parentado e il valore di questo capitano, gli l'avea promessa da sua parte, tenendo per fermo che, come obediente figliuola che l'era stata sempre, non sarebbe stata contraria al voler suo. Olimpia sentendo questo, pensa tu, sorella, il dolore. Ella tramortí subito, restò con la faccia di color di cenere e stette buon spazio a riaver la favella. Pur facendo forza a se stessa, fingendo buon viso, con certe lusinghette rispose che non volea cosí tosto allontanarsi da lei, non avendo conosciuto né altro padre né altro fratello che lei; e che tanto sarebbe lasciarla quanto lasciar la propria vita, massime essendo vecchia, malsana e in etá da esser governata, e che avea bisogno d'una che le fusse stata serva e figlia insieme sollecita alla sua salute. E accompagnò queste ultime parole con certe lagrimette che si pensò la madre che fussero nate dalla pietá di lei…. ANASIRA. Che disse la madre? non si commosse tutta? BALIA…. Lodò molto la sua amorevolezza, la baciò in fronte affettuosamente con dirle che non era nata per star sempre in casa. Cosí la lasciò per parecchi giorni; pur veggendola star ritrosa, l'ha fatta esortar da parenti, da amici e da vicini ancora; al fin conoscendola ostinata, l'ha fatto intendere che tanto vuol che sia sua figlia quanto l'è ubidiente…. ANASIRA. A che s'è risoluta la poverina? BALIA…. La poverina non potendo piú con ragione resistere a' contrasti della madre, ha detto de sí, purché si trattenghi per tre soli giorni, quali son giá finiti; e s'è inviato a dirsi al capitano che s'appresti sposarla per questa sera…. ANASIRA. Perché ha detto de sí? che speranza poteva avere in sí pochi giorni? BALIA…. Ha inventato il piú bello e colorito inganno che possa imaginarsi, non solo di schivar queste nozze cosí odiate da lei ma di venir al fin di questo suo amore…. ANASIRA. Che inganno è questo? BALIA. Bastiti quanto t'ho detto. ANASIRA. Non mi lasciare al meglio con la bocca sciapita, eh! Onde hai tu imparato cominciar una istoria de innamoramento e non venir al compimento fin al dolce? BALIA…. Giá devi sapere che Sennia, la mia padrona, venti anni sono si maritò con Teodosio e di lui n'ebbe duo figli, Eugenio il maschio, Olimpia la femina. Teodosio togliendosi un giorno Eugenio in braccio per ischerzo, andò a diporto ad una sua villa a Pausilippo; e quivi fur presi di notte da una galeotta di turchi, e da quell'ora non mai piú se ne è potuto saper novella se sian vivi o morti. Ma Sennia tien gran speranza che sien vivi, ché una zingara vedendole la mano le indovinò ch'eran vivi e ben presto tornerebbono; ed ella dice che se li sogna ogni notte che vengono…. ANASIRA. Che mi curo di saper questo io? BALIA. Se prima non ti dico questo, non potrai capir l'inganno.—… Olimpia da che venne a Napoli per provar l'animo della madre come stava saldo alla trama ordita tra lei e Mastica ministro del tutto, ha finto certe lettere come le mandasse Eugenio di Turchia, scrivendole ch'era morto Teodosio e che esso avea rotto la prigionia e la catena ed era in camino per venirsene a casa; e fece portar queste lettere alla madre da un certo turco fatto cristiano lor conoscente. Il che Sennia non solo se l'ha creduto ma n'ha preso un'allegrezza cosí grande che non cape nella pelle e va scalza per le chiese e fa gran voti. Or da questa credenza Olimpia ha pigliato piú fidanza di seguire…. ANASIRA. A che effetto cotesto? BALIA…. Or vuol che Lampridio si vesta da turco col ferro al collo e con la catena a' piedi come se fusse scampato di man loro, perché è giá di venti anni, conforme all'etá che potrebbe avere Eugenio; e con dir che sia suo fratello, entrará in casa nostra, disturberá le nozze di questo capitano, e niuno potrá negargli che non stia solo e accompagnato con la sua Olimpia come gli piace. Ecco son arrivata fin al dolce, fin al fine; vuoi piú? ANASIRA. Or sí che l'intendo, ed è certo un inganno accortissimo; e sento tanta dolcezza che questa gentil giovane resti contenta, che par sia Olimpia io e ancor io ne senta la mia parte. Ma dimmi: se Lampridio fusse riconosciuto in Napoli, non si scoprirebbe l'inganno? BALIA. Egli non mai fu in Napoli; e Olimpia l'ha fatto intendere per un certo Giulio studente, amico comune, che per quanto ha cara la grazia sua, per una cosa importantissima non venghi a Napoli prima che sia avisato, accioché non fusse riconosciuto da alcuno, come dici. ANASIRA. Come Sennia non s'accorgerá che questo non è suo figlio? BALIA. Non t'ho detto io ch'appena era di due anni quando le fu tolto? e io le ho inteso dir mille volte che se lo vedesse non lo riconoscerebbe. ANASIRA. Iddio le faccia succedere ogni cosa come desidera. Ti vo' lasciare, a dio. BALIA. Tienlo secreto, sai: tu vedi quanto importa. ANASIRA. Se non l'hai potuto tener secreto tu che t'importa, come lo posso tener secreto io che non mi si dá nulla? BALIA. Deh, per amor di Dio! ANASIRA. Io scherzo cosí teco. (Ma chi può contenersi, se trovo il capitano, di non rivelargli cosí bella trama?). BALIA. Ti farei compagnia, se non avessi a ragionar con Mastica su questo fatto; e però son uscita e giá lo veggio venir in qua. SCENA II. MASTICA parasito, BALIA. MASTICA. Dicono i medici del mio paese che si trova una infermitá che si chiama «lupa», che dá una fame tanto affamata che quanto piú mangia piú s'affama. Io stimo esser nato con questa malattia non solo nelle budella ma nelle midolle dell'ossa, né tutti i sciroppi, medicine e servigiali del mondo non la possono cavar fuori…. BALIA. Mastica Mastica! MASTICA…. Io sento—che lupi, che cani—piú di cento leoni nello stomaco; io non vorrei far mai altro che mangiare, non mi veggio satollo mai, anzi quanto piú mangio piú cresce la rabbia. La fame ha preso tanto dominio sopra di me, che quanto piú cerco torlami da dosso piú vi se attacca. BALIA. O Mastica Mastica! MASTICA. Chi chiama Mastica non chiama me: chiamimi «digiuno» se vuol che gli risponda. Non vo' esser Mastica, ché non mastico se non sputo e vento. BALIA. Oh che affamata risposta! MASTICA. Oh che sciapita chiamata! BALIA. Non sei Mastica tu? MASTICA. Cosí tu fossi un pasticcio, ch'al primo ti porrei mano al cappello e mi ti tranguggiarei in un boccone! BALIA. Parea che non mi conoscessi. MASTICA. La fame m'avea cosí offuscati gli occhi che non ti conosceva. BALIA. Hai fame cosí mattino? MASTICA. Non sai tu che la mattina apro prima la bocca che gli occhi? BALIA. Ho bisogno del fatto tuo; odi un poco. MASTICA. Che vuoi tu ch'oda? «Ventre che non rode, mal volentier ode». BALIA. Lascia questi scherzi. MASTICA. Lascia questo braccio. BALIA. Vien qua e fai bene. MASTICA. Non trascinare e fai meglio! Oh, che avessi incontrato la carestia piuttosto questa mattina che te! sai come mi piacciono le tue pari! BALIA. Fa' questo piacere a me. MASTICA. Non vo' far questo dispiacere a me né alla mia persona; so ben quel che tu vuoi. Per parlarti chiaro, balia, se ben tutte le donne son insaziabili di natura, la tua non ha né fin né fondo. Star morto di fame, stracco, fastidito e donne intorno, pensalo tu. BALIA. Non vo' quel che tu pensi. MASTICA. Io pensava quel che tu suoli volere. M'hai ritornato l'animo: lasciami respirare un poco. Ho preso tanta paura che non sará ben di me tutto oggi. BALIA. Cosí ti dispiacciono le donne, eh? che maggior piacer si può trovare che star con una donna bella come un agnolo? MASTICA. Se tu avessi detto «come un agnello», aresti detto assai meglio, ché questo ti pone in corpo la sanitá, non ne la

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