L'Olimpia di Giambattista Della Porta pagina 8

Testo di pubblico dominio

poco di sangue. TRASILOGO. Sangue ah? ne ho poco e buono; se soverchia a te, vattene ad un barbiero che con poca spesa te ne caverá quanto vuoi. MASTICA. (Uomini che abondano assai di parole mancano assai di fatti). LAMPRIDIO. Hai paura di me? TRASILOGO. Ho paura di me, non di te. LAMPRIDIO. Pecora, asinaccio! SQUADRA. Rispondetegli, padrone. TRASILOGO. Il malanno che Dio ti dia, non mi chiamo cosí io! LAMPRIDIO. Tu fuggi, eh? TRASILOGO. Io camino presto. MASTICA. (In cambio di menar le mani mena piedi). TRASILOGO. Oimè, oimè! SQUADRA. Ancor non vi ha tócco e voi gridate. TRASILOGO. Se gridassi dopo, a che mi giovarebbe? LAMPRIDIO. Mastica, mira se è sciocco: non ha voluto venir all'esperienza dell'armi con me. MASTICA. Anzi è savio, ché ha voluto prima credere che provare. LAMPRIDIO. Andiam per i fatti nostri. MASTICA. Andiamo. Ecco mi vedrò le vene gonfie, i nervi distesi, allisciarsi la pelle della mia pancia che pareva la faccia della bisavola mia. TRASILOGO. Son partiti, Squadra. SQUADRA. Sí, sono. TRASILOGO. Mira bene. SQUADRA. Non vi è persona, dico. TRASILOGO. Io non ho voluto porre a rischio un par mio con lui, ché a me ogni minima ferita m'ucciderebbe perché son tutto cuore; ma egli è tutto polmone. Né gli ho voluto rispondere perché non aveva còlera. SQUADRA. Perché non vi serbate la còlera per lo bisogno? TRASILOGO. Ma or che la còlera m'è salita al naso e mi fuma il cervello, ti farò conoscere chi son io.—Pecora, asinaccio sei tu. Menti per la gola: questa è mentita data a tempo, non te la torrai da dosso come pensi. Mondo traverso, perché non vieni qua ora? ché ti romperei la testa e ti cavarei col sangue l'anima: tif, taf. Hai paura di me? Fuggi dovunque tu vuoi, ch'io ti troverò e cavarò gli occhi e farò che tu stesso li veggia nelle tue mani. ATTO III. SCENA I. MASTICA, LAMPRIDIO, PROTODIDASCALO. MASTICA. Camina sicuramente, ché non è uomo che vedendoti con questo ferro al collo, col turbante in testa e con queste vesti, non ti giudichi or ora scampato di man di turchi, ritratto dal naturale. LAMPRIDIO. Amor, favoriscimi a questo inganno, ché non si può far cosa buona senza l'aiuto tuo. MASTICA. Hai la catena ne' piedi? LAMPRIDIO. Vorrei che ti potessero rispondere le mie gambe che appena la ponno trassinare. MASTICA. Io vado: or vedrai la tua Olimpia desiderata. LAMPRIDIO. O braccia mie aventurose, dunque voi cingerete il collo della terrena mia dea? o bocca mia, tu bascierai le guancie delicate e gli occhi del mio sole? O Amore, se ti piace ch'io ottenga cosí desiderata felicitá, donami tanta forza che la possa soffrire: ché dubito che vedendomi Olimpia in queste braccia, non mi muoia di contentezza. MASTICA. Lampridio, tieni le parole a mente. Subito che serai intrato in casa, comanda che si tiri il collo a quante galline ci sono e che mi siano dati dinari per comprar robbe. LAMPRIDIO. Eccoti dinari, spendi ciò che tu vuoi, non me ne render conto. PROTODIDASCALO. È stato supervacuo admonircelo, egli lo fa indesinenter; non è oggi il primo giorno che cognovisti eum. MASTICA. Ricordati dimandar quello che ti ho detto, per mostrar che sei figlio a Teodosio. LAMPRIDIO. Non me lo dir piú, ché lo so cosí bene che ricordandomelo piú, me lo faresti smenticare. MASTICA. Tu sei tutto mutato di colore. LAMPRIDIO. Questa insperata speranza d'allegrezza m'ha tolto fuor di me stesso. Non so che m'abbi: cuor mio, sta' fermo; tu par che non mi capi nel petto, tu dibatti cosí forte come se ne volessi saltar fuori. MASTICA. Con questo colore tu saresti piuttosto per sconsolarle che rallegrarle con la tua venuta. LAMPRIDIO. Farò migliore viso se posso. Va' tu presto e recami da vestire. MASTICA. Lo farò. Io entro prima, darò la buona nuova e le farò uscir fuora a riceverti.—O di casa, allegrezza allegrezza, mancia, buona nuova! SCENA II. LAMPRIDIO, PROTODIDASCALO. LAMPRIDIO. Protodidascalo, tu stai di mala voglia. PROTODIDASCALO. Taedet me et misereor del caso dove sei per incidere. LAMPRIDIO. Se tu avesti pietá di me, me lo mostraresti in altro. PROTODIDASCALO. Che magior granditudine di cosa si può autumare, che per un tantulo di oblectamento ti poni in pericolo che discoprendosi è per apportarti il maggior dedecore che mai s'ascolti? LAMPRIDIO. Non si può scoprire se non lo scopriamo noi stessi, ché non ci è altro al mondo che lo sappi. PROTODIDASCALO. Lo sa Mastica, or l'ará detto a cento: non passará una ebdomada che lo saprá tutto Napoli. Ascolta Virgilio: Fama, malum quo non aliud velocius ullum, mobilitate viget viresque acquirit eundo. LAMPRIDIO. Mastica, non lo dirá, perché li terremo la bocca otturata con migliacci e maccheroni che gl'ingozzeranno, né potrá parlar se ben volesse. PROTODIDASCALO. Un altro li dará da ingurgitar vino, manderá giú quelle polente mileacee suffrixe che tu dici e vomiterá con quella ingluvie quanto saprá di voi. Ma come diresti latinamente i maccheroni? Ascolta: è una certa radicula detta «macheronium», che anticamente si commendava ne' panefici; però quelli pastilli farinacei si direbbono eleganter «macheronei». LAMPRIDIO. E quando si scoprisse, non saremo uomini da fugir di
Napoli, di Roma e tutto il mondo?
PROTODIDASCALO. Il medesimo dicono i malefici e facinorosi, e senza avedersene si trovano il carnefice sugli umeri, alle tergora. LAMPRIDIO. Se tutti avessimo il gastigo de' peccati che facciamo, non si trovarebbono tante fune per far tanti capestri. PROTODIDASCALO. Forse a coloro favorisce la sorte. Ma ascolta questo duodecasticon che consta di anapesti, coriambi e proceleusmatici in favor della sorte: O sors mala…. LAMPRIDIO. Non, no di grazia, non è tempo adesso di queste baie. Non mi turbar la presente allegrezza con questi tuoi amari ricordi, ché l'animo determinato non ave orecchie. PROTODIDASCALO. Voi gioveni, eccitati dall'illice d'amore, d'ogni cosa volete scapricciarvi, e la voglia v'impiomba cosí l'orecchie che non vi fa animadvertere cosa alcuna. Questa frode che usi per fruir la clavigera del cuor tuo, non è altro che seminar il canape per tesserne un laccio con che il prelibato carnefice ti chiuda la vita. Sai quanto in Napoli s'osserva la giustizia, e tu sei forastiero. LAMPRIDIO. Taci, vattene vattene; ecco Olimpia mia. SCENA III. SENNIA vecchia, OLIMPIA, LAMPRIDIO. SENNIA. O Eugenio pianto e sospirato sí lungo tempo! LAMPRIDIO. O Sennia madre, ché l'odor del sangue mi ti fa conoscere per madre! SENNIA. Olimpia, abbraccia il tuo fratello: come stai cosí vergognosa? LAMPRIDIO. O sorella, dolcissima anima mia! OLIMPIA. O amato piú che fratello, non conosciuto ancora! SENNIA. Io tutta ringiovenisco e in avervi cosí subito acquistato, figliuol mio, parmi che t'abbia or partorito. Mira, Olimpia, come nel fronte e negli occhi ti rassomiglia tutto. OLIMPIA. Il resto dovea assomigliare a suo padre. SENNIA. Non pigliar a tristo augurio, figliuol mio, ch'io pianga, ché l'allegrezza ch'io sento di tua venuta, tanto piú cara quanto men la sperava, mi fa cader le lacrime dagli occhi. LAMPRIDIO. O madre, io ancora non posso tenermi: sento il cuor liquefarsi di tenerezza. Raguagliami: è viva Beatrice mia zia di che molto si ricordava Teodosio mio padre? SENNIA. Vive e si sta maritata in Salerno molto ricca. LAMPRIDIO. Eunèmone suo fratello come vive? SENNIA. Son dieci anni che si morio. LAMPRIDIO. Duolmi di non poterlo veder vivo. Ditemi, mia sorella
Olimpia è maritata?
SENNIA. L'abbiamo giá per maritata e questa sera abbiamo destinata alle sue nozze: aremo doppia allegrezza. LAMPRIDIO. Poiché non è maritata fin adesso, lasciate che ancor io ne abbi la parte della fatica: me ne informerò di costui, poi informerò bene mia sorella del tutto. OLIMPIA. Mi contento che mio fratello facci di me ciò che gli piace. SENNIA. Prima che entriate in altro ragionamento, parmi venghiati a riposarvi, ché per la fatica grande ch'avete sopportata la notte e il giorno stimo che non possiate regervi in piedi. OLIMPIA.

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Argomenti: sei figlio,    presente allegrezza,    fatica grande

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