Nel sogno di era pagina 5

Testo di pubblico dominio

mozzava il fiato, quando il battito del cuore le si arrestava improvvisamente come sotto la stretta di una mano misteriosa, gettava un lungo urlo pieno di voluttà e di terrore. Si allontanava allora pallida e muta. D'estate, nelle ore in cui il sole percuoteva la montagna, seduta a testa nuda sul suo picco, si tuffava in un bagno di raggi, piacendosi a sentire i morsi del calore, resistendovi con una sensazione di dilatamento nella pelle, dì immedesimazione, quasi, che somigliava ad una conquista. * * * Calma e semplice era Maria. Ella viveva in uno stato continuo di tenerezza e di pace profonda. Più che il correre, preferiva l'andare tranquillo lungo i sentieri, e tra i sentieri preferiva i più verdi, i più teneri, quelli dove spuntavano fiori. Amava i fogliami vaporosi, le chiazze di luce tra albero ed albero; si compiaceva del canto degli uccelli, del volo delle farfalle, dell'umile ed operosa vita degli insetti. I fiori l'attiravano dolcemente: ella si guardava bene del calpestarne qualcuno, chinandosi a raddrizzarlo, se lo aveva urtato, seguendone lo sviluppo con sguardo amoroso; oggi appena una gemma, domani un bocciolo, poi il fiore. Maravigliata sempre e commossa davanti a questo mistero, diceva talvolta:—Padre, io penso che i fiori hanno un'anima. —L'ho pensato tante volte anch'io; tutto ciò che è uscito dalle mani del Signore ha un'anima di certo. Ella diceva ancora: —Padre, i piccoli grilli, le formiche e le lucertoline sanno essi che io li amo? —Credo che lo sapranno. Noi sappiamo bene che i grandi alberi ci amano. —Oh! sì; ci amano!—esclamava Maria piena di un ardore mistico—e ci ama pure la montagna, l'alta montagna buona, che ci protegge come una madre, sui cui fianchi noi ci appoggiamo, e le dormiamo in grembo. * * * L'idea di questo amore universale la cullava in una specie di estasi, come nell'abbandono di una bontà sconfinata, dove non sorgeva mai neppure la più lieve ombra di dubbio o di paura. Sorella dei fiori, delle erbe, degli insetti, degli uccelli, viveva della loro pace profonda nella assoluta ignoranza del male. Una lontana e confusa immagine della società le appariva a tratti nella lettura del Vangelo e nelle spiegazioni che il solitario ne faceva; ma tutto ciò si presentava alla fanciulla come una visione, come l'evocazione di un mondo spento, non invidiabile, nè desiderabile; e, nella sua anima straordinariamente portata alle oscurità del mondo soprasensibile, i fatti, i nomi, tutta quella storia misteriosa dell'Antico e del Nuovo Testamento si mescevano nel simbolismo di un sogno prolungato ed infinitamente soave. Le sembrava, a volte, di aver vissuto in quella terra fatale di Galilea, di aver udita la voce di Gesù, di averne seguito i passi, di essere stata sotto la croce a beverne il sangue, e per l'amore di Lui essere risorta a questa nuova vita di intera purezza, di luce imperitura. Una grande fantasia poetica era in lei, per cui respirava in un'atmosfera di luce, e stava in rapporti ideali con una quantità di persone e di cose, confondendole soavemente per una ripugnanza innata delle verità materiali, onde spesso le stelle e gli Angeli, una rosa e la Madonna, il sole e Dio si identificavano nel suo pensiero, formavano quella catena di splendori e di gioie sante entro cui si moveva la sua anima. Alcune parole, alcune frasi dei libri sacri la trasportavano in un delirio di ammirazione; per esempio, tutti i simboli relativi a Maria Vergine, che, dopo di essere stata paragonata all'aurora foriera del sole, venne ancora ravvisata nell'Arca dell'alleanza, fabbricata di legno incorruttibile, nel roveto di Mosè, che arde tutto e pure non si consuma, nella verga di Aronne, che lungi dall'insterilire mette fiori, nel vello di Gedeone, che solo rimane molle e coperto di rugiada mentre la terra intorno è bruciata; nell'orto chiuso, d'onde emanano profumi di paradiso, e nella rosa di Gerico, nel cedro del Libano, nel cipresso di Sionne, nella palma di Cades, nel pallido ulivo dei campi, nel leggiadro platano che costeggia i torrenti. Su queste parole misteriose, su queste similitudini ignote, piene di una occulta e sublime poesia, la dolce fanciulla spargeva lagrime di una commozione così intensa che le si accresceva per esse l'infinita felicità di vivere. * * * La piccola baita, dal giorno in cui il prete l'aveva scelta per sua dimora, si era venuta man mano dirozzando per la presenza delle due fanciulle. All'unica cameretta il solitario ne aveva aggiunta un'altra, lavorando a quest'uopo un inverno intero; prima per abbattere gli abeti e poi per tagliarli e piallarli rozzamente, tanto che potessero connessi insieme formare le tre pareti che occorrevano al nuovo edificio. Le gemelle lo avevano aiutato con ardore, e non avendo mai visto nè fabbriche, nè operai, nè cosa alcuna al mondo, esultavano ad ogni scoperta, ad ogni felice risultato, così divertite dalla nuova occupazione che non videro fuggire l'inverno. Piene di zelo, portavano legni, limavano chiodi, foravano, ammucchiavano, docili all'insegnamento del loro buon padre; mentre Maria trovava modo di unire anche a questa occupazione materiale le sue visioni grandiose e poetiche e pensava che così avevano lavorato gli uomini primitivi per edificare il tempio di Salomone, dove si cantavano le glorie di Dio. All'olezzante cedro del Libano ella sostituiva, con eguale trasporto di poesia e di gratitudine, il pino silvestre dal forte profumo resinoso. —Come odora buono!—diceva.—Tanto buono e tanto forte! E già amava quelle brune pareti, dove scorgeva, come in tutto il resto del creato, una catena ininterrotta di benefizi; le toccava con amore, con devozione. Non poteva neanche dire di essere felice: perchè la felicità per lei era lo stato naturale di tutti gli esseri viventi; ma tale intima sensazione la esprimeva nell'irradiamento di tutto il volto e in un crescendo di vitalità, per cui le accadeva di serrarsi stretta la sorella fra le braccia, quasi il suo cuore non fosse abbastanza grande per contenere tanta gioia. Alla famiglia di pastori che avevano allevate le due piccine un'altra famiglia era subentrata, e nuovi rapporti di una o due volte l'anno recavano ai solitari della baita gli oggetti di prima necessità: volontario tributo che quella buona gente offriva al Santo. Ognuna di queste visite era un tale avvenimento per le gemelle che solamente l'aspettarle e il rammentarle bastava a riempire il loro isolamento. Non erano che rozzi pastori, ma erano anche i soli esseri umani che giungessero fin lassù. Quando la cameretta nuova fu compita, misurò quattro passi in largo e cinque in lungo, e, per suggerimento dei pastori, venne confitta ad una delle pareti, la meglio riparata, una specie di alcova, molto simile ai lettucci delle cabine nei bastimenti e precisamente eguale a quelle che usano molti montanari, sia per economia di spazio, sia per tenersi più caldi. In questa nicchia, sopra un saccone ripieno di foglie bene asciutte, le gemelle dormirono per la prima volta al soffio dei venti di marzo, che urlavano nelle gole alpine; ma tenendosi abbracciate, sognarono insieme che le nevi erano già scomparse, che i sentieri si coprivano di rose… PARTE TERZA MISTERO. Un giorno tutta la valle, le vette e i boschi folti d'ombra primaverile rimbombarono per un colpo formidabile e strano. Sembrava un muggito, un urlo prolungato d'eco in eco, il grido di un appello disperato, o lo scoppio di una collera terribile. Eppure il cielo era del più limpido azzurro, e fin dove l'occhio poteva vagare non scorgevasi che la linea immobile dei prati, dei piccoli sentieri onduleggianti sul pendio. Nel fitto degli alberi cantavano tranquillamente gli uccelli, e le farfalle si libravano a volo punteggiando di macchie azzurre, bianche e dorate l'uniforme verdezza delle siepi. —Padre, che è ciò? Erano accorse le fanciulle, ed abbracciavano sbigottite i ginocchi del loro protettore. Un secondo scoppio e un terzo li tenne per qualche

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Argomenti: quattro passi,    dolce fanciulla,    pino silvestre,    occupazione materiale,    lungo urlo

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