Stanze della gelosia di Torquato Tasso pagina 3

Testo di pubblico dominio

pigro silenzio altri non crede, parli per me la Musa, ch' a voi, donna real, s' inchina o sorge; ma se misuro ben l' affetto e 'l core vinco le più veloci e più canore. Dunque il vostro favore or faccia a' casti piè, non solo in marmi, ma ritrarre in be' carmi, la mia guardia fedele e 'l suo valore. COMPARSA QUINTA
LA PRIMAVERA O Primavera, in giovenil sembiante tu Virginia somigli, co' tuoi candidi fiori e co' vermigli. Ma non n' hai tanti in ramo, o tante fronde da fare a lei corona, quante virtù ne 'l suo bel petto asconde, e scopre ove ragiona, tal che de' propri merti or s' incorona; e fian l' opre e i consigli maturi frutti: intanto ha rose e gigli. L' accogli intanto tu de' verdi allori o de' bei faggi a l' ombra, ove son, com' augei, volanti Amori; ma un solo il cor le ingombra. Tal ch' ogni altro pensiero indi le sgombra, non come augel, che pigli e poscia ancida co' veloci artigli. Spesso men cari son teatri e scuole, e 'n logge marmi ed ostri, donna, ch' i verdi chiostri, perché mostrare ogni stagion li suole. Ma tra frondosi alberghi io sol t' accoglio, che son de le mie gemme a te dipinti, e ti fo seggi ombrosi in verdi rive; e di più bei narcisi e di giacinti, per ornare il tuo seno, io me ne spoglio, e 'n questi tronchi il nome tuo si scrive. Né tra querele, o tra sospiri e pianto, ma suona in dolce canto, onde partir mi duole, ché teco in terra albergo e 'n ciel co 'l sole. INTERMEDI AD UNA RAPPRESENTAZIONE
PER
MARGHERITA GONZAGA D'ESTE
DUCHESSA DI FERRARA COMPARSA PRIMA Noi siam tra queste selve ninfe leggiadre e belle, e siam dive de 'l cielo e chiare stelle. E qui cantiamo a l' ombra degli abeti e de' faggi, là sù tra mille raggi di pura luce e d' ogni orror disgombra. E qui balliam tra fior purpurei e gialli, altrove fra zaffiri e sui cristalli. COMPARSA SECONDA S' apre la terra e 'l cielo, e l' una manda Pluto e l' altra Amore, perché veggiate aperto il vostro errore. Due vostri idoli e numi, ed ambo senza lumi; ed io nacqui là sù, né 'l vero ascondo, che ciechi dèi fatti ha sua guida il mondo. COMPARSA TERZA Noi Satiri e Sileni, meravigliosa turba, e noi Baccanti Bacco liete seguiamo e trionfanti. Né sol trionfa Amore, ma 'l vincitor degl' Indi tra fiera no, ma tra benigna gente; e quinci ha lode e quindi. E, perché in odio ha gli empi, né l' albergo de' pii lieto raccoglie de l' anno i frutti e le frondose spoglie. PER RAPPRESENTAZIONE IGNOTA I Io son Tiresia, de 'l piacere altrui e de 'l nostro piacer giudice esperto: ch' ora son uomo e donna un tempo fui, e de 'l giudicio ebbi il castigo e 'l merto. Né cieco son, come rassembro a voi, però che ho l' occhio interno a 'l vero aperto; questa è Manto mia figlia e cara scorta, e Giove è seco, e 'l sacro augello il porta. II E conduciamo a le famose rive un gentil cavalier fra gli altri erranti, donne leggiadre, anzi terrene dive, per riprovar gli altrui superbi vanti; perché, quanto il sol gira oggi, non vive fede maggior tra valorosi amanti: e Venere l' affida e 'nsieme il figlio, ond' egli spera uscir d' ogni periglio. AMOR FUGGITIVO EPILOGO DELL'«AMINTA» VENERE Scesa dal terzo cielo, io che sono di lui regina e dea, cerco il mio figlio fuggitivo Amore. Quest' ier mentre sedea nel mio grembo scherzando, o fosse elezion o fosse errore, con un suo strale aurato mi punse il manco lato, e poi fuggì da me ratto volando per non esser punito; né so dove sia gito. Io che madre pur sono, e son tenera e molle, volta l' ira in pietate, usat' ho poi per ritrovarlo ogn' arte. Cerc' ho tutto il mio cielo in parte in parte, e la sfera di Marte, e l' altre rote e correnti ed immote; né là suso ne' cieli è luogo alcuno ov' ei s' asconda o celi. Tal ch' or tra voi discendo, mansueti mortali, dove so che sovente ei fa soggiorno, per aver da voi nova se 'l fuggitivo mio qua giù si trova. Né già trovarlo spero tra voi, donne leggiadre, perché, se ben d' intorno al volto ed a le chiome spesso vi scherza e vola, e se ben spesso fiede le porte di pietate ed albergo vi chiede, non è alcuna di voi che nel suo petto dal li voglia ricetto, ove sol feritate e sdegno siede. Ma ben trovarlo spero negli uomini cortesi, de' quai nessun si sdegna d' averlo in sua magione: ed a voi mi rivolgo, amica schiera. – Ditemi, ov' è il mio figlio? Chi di voi me l' insegna vo' che per guiderdone da queste labbra prenda un bacio quanto posso condirlo più soave; ma chi me 'l riconduce dal volontario esiglio, altro premio n' attenda, di cui non può maggiore darli la mia potenza, se ben in don li desse tutto 'l regno d' Amore: e per lo Stige io giuro che ferme servarò l' alte promesse. Ditemi, ov' è il mio figlio? Ma non risponde alcun: ciascun si tace. – Non l' avete veduto? Forse ch' egli tra voi dimora sconosciuto, e dagli omeri suoi spiccato aver de' l' ali, e deposto gli strali, e la faretra ancor depost' e l' arco, onde sempre va carco e gli altri arnesi alteri e trionfali. Ma vi darò tai segni che conoscer ai segni facilmente il potrete, ancor che di celarsi a voi s' ingegni. Egli, ben che sia vecchio e d' astuzia e d' etate, picciolo è sì, ch' ancor fanciullo sembra al viso ed a le membra; e 'n guisa di fanciullo sempre instabil si move, né par che luogo trove in cui s' appaghi, ed ha giuoco e trastullo di puerili scherzi; ma il suo scherzar è pieno di periglio e di danno. Facilmente s' adira, facilmente si placa; e nel suo viso vedi quasi in un punto e le lagrime e 'l riso. Crespe ha le chiome d' oro, e, 'n quella guisa appunto che Fortuna si pinge, ha lunghi e folti in su la fronte i crini, ma nuda ha poi la testa agli opposti confini. Il color del suo volto più che foco è vivace; ne la fronte dimostra una lascivia audace; gli occhi infiammati e pieni d' un ingannevol riso volge sovente in biechi; e pur sott' occhio quasi di furto mira, né mai con dritto guardo i lumi gira. Con lingua, che dal latte par che si discompagni, dolcemente favella, ed i suoi detti forma tronchi e imperfetti; di lusinghe e di vezzi è pieno il suo parlare, e son le voci sue sottili e chiare. Ha sempre in bocca il ghigno, e gl' inganni e la frode sotto quel ghigno asconde, come tra fronde e fior angue maligno. Questi da prima altrui tutto cortese e umile ai sembianti ed al volto, qual pover peregrin albergo chiede per grazia e per mercede: ma, poi che dentro è accolto, a poco a poco insuperbisce, e fassi oltra modo insolente; egli sol vuol le chiavi tener de l' altrui core, egli scacciarne fuore gli antichi albergatori, e 'n quella vece ricever nova gente; ei far la ragion serva e dar legge a la mente; così divien tiranno d' ospite mansueto, e persegue ed ancide chi li s' oppone e chi li fa divieto. Or ch' io v' ho dato i segni e degli atti e del viso e de' costumi suoi, s' egli è pur qui fra voi datemi, prego, del mio figlio aviso. Ma voi non rispondete? Forse tenerlo ascoso a me volete? Volete, ah folli, ah sciocchi, tenere ascoso Amore? Ma tosto uscirà fuore da la lingua e da gli occhi per mille indicî aperti: tal, io vi rendo certi, ch' averrà quello a voi ch' avvenir suole a colui che nel seno crede nasconder l' angue, che co' gridi e co 'l sangue al fin lo scuopre. Ma, poi che qui no 'l trovo, prima ch' al ciel ritorni, andrò cercando in terra altri soggiorni. Dialoghi Scena 1 AMATA, AMANTE, AMORE AMATA Io qui, signor, ne vegno, non già perché a le leggi soggetta io sia de l' amoroso regno, ma perché tu, che puoi, costringa questo menzogner fallace a serbar sua promessa e quella fede, che sovente ei mi diede, per l' arco tuo giurando e per la face. E ben dinanzi a lei, che di nostra natura in cima siede, fatto citar l' avrei; ma costui pur si vanta ch' è tuo servo e soggetto, e 'l giudicio d' ogni altro è a lui sospetto.

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Argomenti: pigro silenzio,    guardia fedele,    occhio interno,    sacro augello,    fuggitivo epilogo

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