Stanze della gelosia di Torquato Tasso pagina 2

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e d' alti mostri; ma com' è quel ripien d' aspro e di tristo, così questo è d' ameno e di soave. Quivi perpetuo un zefiro inzaffira le piagge, e su 'l smeraldo intesse l' ostro di bei fioretti, ch' or di gelo imperla ne l' alba, ora a' gran dì scioglie in odore; corron di latte i ruscelletti vaghi, e stilla il mel dagli elci e dagli olivi: campo di gioia, se non quanto accende infinito desio de 'l paradiso, e 'n questa afflizïon l' anime offende. Tutti convengon qui d' ogni paese quei che vivendo in pregio ebber le Muse, e l' oprar dritto che natura addita; ma quei che furo innanti a 'l cristianesmo, per non partirne mai (tal libra in lance la divina giustizia il merto e 'l danno), quei ch' adorar debitamente Dio, qui l' alme impure purgano ed infette da 'l sensüale affetto, ma da poi fian richiamate a la celeste reggia: e di questi cotai son io medesmo. Qui pur pensosi, a passi lenti e gravi van quei grandi ch' a 'l vero ebber gl' ingegni; Aristotele il primo, e 'l divin mastro de la scuola superna, i' dico Plato con tutta la sua schiera, e con mill' altre che 'l furor letterato in alto eresse. Qui cinti d' arme gli spiriti magni, onde rimbomban sì Micene e Roma, Achille, Agamennon, Cesare e Scipio, van trionfanti, ed han seco, o Ferrara, non men di ferro e di valore armati, de' tuoi Ercoli e Alfonsi. Or io mi stava l' alte schiere ammirando in grembo ai fiori, quando udii dirmi da invisibil voce: – Oggi in teatro augusto i salsi motti conditi da tua Musa, e le sciocchezze, le frodi e i popolari accorgimenti debbon udirsi: ivi in regal corona d' eroi s' asside il glorioso Alfonso, pieno di deità gli atti e l' aspetto, qual Giove in fra i suoi divi. In nobil coro di caste ninfe amorosette e care, la sua Giunone ha seco; intanto attende come scaltro risuoni e come piaccia, tocca da dotta man, comica cetra. Tu va; ben degna è sì mirabil scena di mirabil messaggio, e primo parla. – Tacque; ed io, ratto in men che non balena, qui mi condussi, e non so per qual calle; or dirò il comandato e dirò breve. Le scïenze, figliuole de la mente, vivon soggette a le medesme leggi, che natura ha prescritte a' figli suoi: come nasce, fiorisce, invecchia e muore l' abete, il pin, la quercia ed il cipresso, così queste han sua vice. Fu la scena infante a' primi tempi, e giovin poi fessi e matrona; or è canuta e vecchia. Ben quai medici accorti, che previsto lunge il letargo, han rimedi che 'n fasce l' uccidan, e spess' anco anzi che nasca, tra gran saggi, avvertendo il fatal corso de 'l poetar di scena, a preservargli, se non da morte, almen da presta morte, con gran senno, arte dotta, in brevi carte strinsero in immutabili precetti. E certo il lor pensier veniva intero, ma l' ignoranza s' è tanto ingegnata, ch' i saggi avvertimenti ha torti e guasti; onde più ratto il buon comico iambo è invecchiato e caduto in vil dispregio; così ha gran mal picciol' licenza a lato! Fu concesso il partirsi da 'l severo de le leggi prescritte a la poetica, quanto chiedeva l' uso de l' etati: qui s' è fermato il punto; e non s' è visto che varia il pomo or frondi, or frutti, or fiori, seguendo la stagion, ma sempre è pomo, non mai o fico, o pero, od aspro sorbo. Or s' è trascorso sì, che le commedie più commedie non son, ma ciance inteste a trar da' plebei cori infame riso, indegne de l' orecchie cittadine non che de le magnanime e regali. Io parlo per ver dire, non per odio d' altrui, né per disdegno, né perch' io stimi la favola mia esser de le perfette; là, ov' io vivo, non vive odio o disdegno, ed è ognun fatto giusto conoscitor de' suoi difetti. Forse, s' or vergar carte e oprare inchiostro mi si desse, alcun neo le purgherei, se ben che non precetti imaginati seguì mia Musa, ma gl' interi e saldi; e s' ivi errò, qual' uom spira e non erra? Or questa, ch' io vivendo, a 'l primo Alfonso composi e posi in sontüosa scena, e i Suppositi ha nome, invitto sire, sacran novellamente a 'l vostro nome devoti questi spiriti sublimi, onde qui s' orna l' Academia vostra. Voi gradite il buon zelo e la lor fede; là vien chi me accomiata; ed io ritorno, sì come fu il destino, a l' ombre elisie. INTERMEDI DELL'«AMINTA» I Proteo son io, che trasmutar sembianti e forme soglio variar sì spesso; e trovai l' arte onde notturna scena cangia l' aspetto: e quinci Amore istesso trasforma in tante guise i vaghi amanti, com' ogni carme ed ogni storia è piena. Ne la notte serena, ne l' amico silenzio e ne l' orrore, sacro marin pastore vi mostra questo coro e questa pompa; né vien chi l' interrompa, e turbi i nostri giuochi e i nostri canti. II Sante leggi d' amore e di natura; sacro laccio, ch' ordio fede sì pura di sì bel desio; tenace nodo e forti e cari stami; soave giogo e dilettevol salma, che fai l' umana compagnia gradita, per cui regge due corpi un core, un' alma, e per cui sempre si gioisca ed ami sino a l' amara ed ultima partita; gioia, conforto e pace de la vita fugace; del mal dolce ristoro ed alto oblio; chi più di voi ne riconduce a Dio? III Divi noi siam, che nel sereno eterno fra celesti zaffiri e bei cristalli meniam perpetui balli, dove non è giammai state né verno; ed or grazia immortale, alta ventura qua giù ne tragge, in questa bella imago del teatro del mondo; dove facciamo a tondo un ballo novo e dilettoso e vago, fra tanti lumi de la notte oscura a la chiara armonia del suono alterno. IV Itene, o mesti amanti, o donne liete, ch' è tempo omai di placida quiete; itene co 'l silenzio, ite co 'l sonno, mentre versa papaveri e viole la notte, e fugge il sole. E se i pensieri in voi dormir non ponno, sian gli affanni amorosi in vece a voi di placidi riposi; né miri il vostro pianto aurora o luna. Il gran Pan vi licenzia; omai tacete, alme serve d' Amor, fide e secrete. INTERMEDI AD UNA RAPPRESENTAZIONE
DI CESARE D'ESTE
CON VIRGINIA DE' MEDICI 1586 COMPARSA PRIMA
VIRGINIA Virgine fui, ma pur Virginia io sono; e chi si colse il bel virgineo fiore lasciommi il nome, a ciò che il dolce suono rimbombi intorno, e così volle Amore; e s' altro nome acquisto or nova sposa, io già non perdo il virginale onore; ma come odora più rosa per rosa, l' una vita per l' altra è più gioiosa. COMPARSA SECONDA
FIRENZE Io fui già Flora, ah! non sia detto invano or che Cesare mio così mi sfiora, e se ne porta un novo fior lontano! Novo fior di bellezza e d' onestate, che vince le tue rose, o bell' Aurora, teco fatte purpuree e teco nate; e ben ch' ella mi lasci i fior vermigli, tanto lieta sarò, quanto or si duole; e seco fiorirà con aurei gigli, che non distrugge il verno, o secca il sole. COMPARSA TERZA
L'ANNO L' anno son io, che fo sì cari balli, e due volte ritorno mentre da voi s' aspetta un lieto giorno. Un bel giorno felice, in cui s' aggiunga il buon Cesare insieme e la casta Virginia. Ah! troppo è lunga l' interna voglia e l' amorosa speme, or che la virginella attende e teme ne 'l suo dolce soggiorno un cavalier di mille fregi adorno. Egli i desiri, io doppio il corso e miro altri segni, altre stelle, simile ai lumi, ond' io ne 'l ciel mi giro, e strade ancor più belle. E passa la sua gloria e queste e quelle, ed io co' 'l tempo ho scorno, mentre l' un nome e l' altro or vola intorno. COMPARSA QUARTA
LA TESTUDINE Mentre per farvi onore il Po se 'n corre a voi con cento fiumi e 'l ciel con mille lumi, e vola a voi con mille Amori Amore, lascia Imeneo Permesso e i sacri monti, lascian seco Ippocrene nove sorelle e seggi ombrosi e foschi e tra queste isolette e questi boschi Muse, Ninfe e Sirene, cigni, usignuoli hanno le rive e i fonti; ma tarda e muta io sono a quel tenore, colpa de la natura e mio dolore. Pur così lenta Amor mi guida e scorge, entro a 'l mio albergo chiusa, s' io ne son degna, per baciarvi il piede: e s' a 'l

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Argomenti: dolce ristoro,    infinito desio,    amore istesso,    amico silenzio,    tenace nodo

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