Sei personaggi in cerca d'autore di Luigi Pirandello pagina 13

Testo di pubblico dominio

(senza aver ben capito, nell'intontimento della speciosa argomentazione). Ebbene? E che vuol concludere con questo? Il padre. Oh, niente, signore. Farle vedere che se noi (indicherà di nuovo sè e gli altri Personaggi) oltre la illusione, non abbiamo altra realtà, è bene che anche lei diffidi della realtà sua, di questa che lei oggi respira e tocca in sè, perché—come quella di jeri—è destinata a scoprirlesi illusione domani. Il capocomico (rivolgendosi a prenderla in riso). Ah, benissimo! E dica per giunta che lei, con codesta commedia che viene a rappresentarmi qua, è più vero e reale di me! Il padre (con la massima serietà). Ma questo senza dubbio, signore! Il capocomico. Ah sì? Il padre. Credevo che lei lo avesse già compreso fin da principio. Il capocomico. Più reale di me? Il padre. Se la sua realtà può cangiare dall'oggi al domani... Il capocomico. Ma si sa che può cangiare, sfido! Cangia continuamente, come quella di tutti! Il padre (con un grido). Ma la nostra no, signore! Vede? La differenza è questa! Non cangia, non può cangiare, né esser altra, mai, perché già fissata—così—«questa»—per sempre—(è terribile, signore!) realtà immutabile, che dovrebbe dar loro un brivido nell'accostarsi a noi! Il capocomico (con uno scatto, parandoglisi davanti per un'idea che gli sorgerà all'improvviso). Io vorrei sapere però, quando mai s'è visto un personaggio che, uscendo dalla sua parte, si sia messo a perorarla così come fa lei, e a proporla, a spiegarla. Me lo sa dire? Io non l'ho mai visto! Il padre. Non l'ha mai visto, signore, perché gli autori nascondono di solito il travaglio della loro creazione. Quando i personaggi son vivi, vivi veramente davanti al loro autore, questo non fa altro che seguirli nelle parole, nei gesti ch'essi appunto gli propongono, e bisogna ch'egli li voglia com'essi si vogliono; e guai se non fa così! Quando un personaggio è nato, acquista subito una tale indipendenza anche dal suo stesso autore, che può esser da tutti immaginato in tant'altre situazioni in cui l'autore non pensò di metterlo, e acquistare anche, a volte, un significato che l'autore non si sognò mai di dargli! Il capocomico. Ma sì, questo lo so! Il padre. E dunque, perché si fa meraviglia di noi? Immagini per un personaggio la disgrazia che le ho detto, d'esser nato vivo dalla fantasia d'un autore che abbia voluto poi negargli la vita, e mi dica se questo personaggio lasciato così, vivo e senza vita, non ha ragione di mettersi a fare quel che stiamo facendo noi, ora, qua davanti a loro, dopo averlo fatto a lungo a lungo, creda, davanti a lui per persuaderlo, per spingerlo, comparendogli ora io, ora lei, indicherà la Figliastra ora quella povera madre... La figliastra (venendo avanti come trasognata). È vero, anch'io, anch'io signore, per tentarlo, tante volte, nella malinconia di quel suo scrittojo, all'ora del crepuscolo, quand'egli, abbandonato su una poltrona, non sapeva risolversi a girar la chiavetta della luce e lasciava che l'ombra gl'invadesse la stanza e che quell'ombra brulicasse di noi, che andavamo a tentarlo... Come se si vedesse ancora là in quello scrittojo e avesse fastidio della presenza di tutti quegli Attori: Se loro tutti se n'andassero! se ci lasciassero soli! La mamma lì, con quel figlio—io con quella bambina—quel ragazzo là sempre solo—e poi io con lui indicherà appena il Padre —e poi io sola, io sola... —in quell'ombra balzerà a un tratto, come se nella visione che ha di sè, lucente in quell'ombra e viva, volesse afferrarsi ah, la mia vita! Che scene, che scene andavamo a proporgli!—Io, io lo tentavo più di tutti! Il padre. Già! Ma forse è stato per causa tua; appunto per codeste tue troppe insistenze, per le tue troppe incontinenze! La figliastra. Ma che! Se egli stesso m'ha voluta così! Verrà presso al Capocomico per dirgli come in confidenza: Io credo che fu piuttosto, signore, per avvilimento o per sdegno del teatro, così come il pubblico solitamente lo vede e lo vuole... Il capocomico. Andiamo avanti, andiamo avanti, santo Dio, e veniamo al fatto, signori miei! La figliastra. Eh, ma mi pare, scusi, che di fatti ne abbia fin troppi, con la nostra entrata in casa di lui! Indicherà il Padre. Diceva che non poteva appendere i cartellini o cangiar di scena ogni cinque minuti! Il capocomico. Già! Ma appunto! Combinarli, aggrupparli in un'azione simultanea e serrata, e non come pretende lei, che vuol vedere prima il suo fratellino che ritorna dalla scuola e s'aggira come un'ombra per le stanze, nascondendosi dietro gli usci a meditare un proposito, in cui—com'ha detto?— La figliastra.—Si dissuga, signore, si dissuga tutto! Il capocomico. Non ho mai sentito codesta parola! E va bene: «crescendo soltanto negli occhi», è vero? La figliastra. Sissignore: eccolo lì! Lo indicherà presso la Madre. Il capocomico. Brava! E poi, contemporaneamente, vorrebbe anche quella bambina che giuoca, ignara, nel giardino. L'uno in casa, e l'altra nel giardino, è possibile? La figliastra. Ah, nel sole, signore, felice! È l'unico mio premio, la sua allegria, la sua festa, in quel giardino; tratta dalla miseria, dallo squallore di un'orribile camera dove dormivamo tutti e quattro—e io con lei—io, pensi! con l'orrore del mio corpo contaminato, accanto a lei che mi stringeva forte forte coi suoi braccini amorosi e innocenti. Nel giardino, appena mi vedeva, correva a prendermi per mano. I fiori grandi non li vedeva; andava a scoprire invece tutti quei «pittoli pittoli» e me li voleva mostrare, facendo una festa, una festa! Così dicendo, straziata dal ricordo, romperà in un pianto lungo, disperato, abbattendo il capo sulle braccia abbandonate sul tavolino. La commozione vincerà tutti. Il Capocomico le si accosterà quasi paternamente, e le dirà per confortarla: Il capocomico. Faremo il giardino, faremo il giardino, non dubiti: e vedrà che ne sarà contenta! Le scene le aggrupperemo lì! Chiamando per nome un Apparatore: Ehi, calami qualche spezzato d'alberi! Due cipressetti qua davanti a questa vasca! Si vedranno calare dall'alto del palcoscenico due cipressetti. Il Macchinista, accorrendo, fermerà coi chiodi i due pedani. Il capocomico (alla Figliastra). Così alla meglio, adesso, per dare un'idea. Richiamerà per nome l'Apparatore. Ehi, dammi ora un po' di cielo! L'apparatore (dall'alto). Che cosa? Il capocomico. Un po' di cielo! Un fondalino, che cada qua dietro questa vasca! Si vedrà calare dall'alto del palcoscenico una tela bianca. Il capocomico. Ma non bianco! T'ho detto cielo! Non fa nulla, lascia: rimedierò io. Chiamando: Ehi, elettricista, spegni tutto e dammi un po' di atmosfera... atmosfera lunare... blu, blu alle bilance, e blu sulla tela, col riflettore... Così! Basta! Si sarà fatta, a comando, una misteriosa scena lunare, che indurrà gli Attori a parlare e muoversi come di sera, in un giardino, sotto la luna. Il capocomico (alla Figliastra). Ecco, guardi! E ora il giovinetto, invece di nascondersi dietro gli usci delle stanze, potrebbe aggirarsi qua nel giardino, nascondendosi dietro gli alberi. Ma capirà che sarà difficile trovare una bambina che faccia bene la scena con lei, quando le mostra i fiorellini. Rivolgendosi al Giovinetto: Venga, venga avanti lei, piuttosto! Vediamo di concretare un po'! E poiché il ragazzo non si muove: Avanti, avanti! Poi, tirandolo avanti, cercando di fargli tener ritto il capo che ogni volta ricasca giù: Ah, dico, un bel guajo, anche questo ragazzo... Ma com'è?... Dio mio, bisognerebbe pure che qualche cosa dicesse... Gli s'appresserà, gli poserà una mano sulla spalla, lo condurrà dietro allo spezzato d'alberi. Venga, venga un po': mi faccia vedere! Si nasconda un po' qua... Così... Si provi a sporgere un po' il capo, a spiare... Si scosterà per vedere l'effetto: e appena il Giovinetto eseguirà l'azione tra lo sgomento degli Attori che resteranno impressionatissimi: Ah, benissimo... benissimo...

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Argomenti: palcoscenico due

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