Novelle rusticane di Giovanni Verga pagina 18

Testo di pubblico dominio

La suocera, poveretta, cercava di metter pace in quei litigi, e ripeteva: - La colpa è mia che non son più buona a nulla. Io vi mangio il pane a tradimento. Ella non era più buona che a sentire tutti quei guai, e a covarseli dentro di sé: le angustie di Santo, i piagnistei di sua moglie, il pensiero dell'altro figlio lontano, che le stava fitto in cuore come un chiodo, il malumore di Lucia, la quale non aveva uno straccio di vestito per la festa, e non vedeva passare un cane sotto la sua finestra. La domenica, se la chiamavano nel crocchio delle comari che chiaccheravano all'ombra, rispondeva, alzando le spalle: - Cosa volete che ci venga a fare! Per far vedere il vestito di seta che non ho? Nel crocchio delle vicine ci veniva pure qualche volta Pino il Tomo, quello delle rane, che non apriva bocca e stava ad ascoltare colle spalle al muro e le mani in tasca, sputacchiando di qua e di là. Nessuno sapeva cosa ci stesse a fare; ma quando s'affacciava all'uscio comare Lucia, Pino la guardava di soppiatto, fingendo di voltarsi per sputacchiare. La sera poi, come gli usci erano tutti chiusi, s'arrischiava sino a cantarle le canzonette dietro la porta, facendosi il basso da sé - huum! huum! huum! - Alle volte i giovinastri che tornavano a casa tardi, lo conoscevano alla voce, e gli rifacevano il verso della rana, per canzonarlo. Lucia intanto fingeva di darsi da fare per la casa, colla testa bassa e lontana dal lume, onde non la vedessero in faccia. Ma se la cognata brontolava: - Ora comincia la musica! - si voltava come una vipera a rimbeccare: - Anche la musica vi dà noia? Già in questa galera non ce ne deve essere né per gli occhi né per le orecchie! La mamma che vedeva tutto, e ascoltava anch'essa, guardando la figliuola, diceva che a lei invece quella musica gli metteva allegria dentro. Lucia fingeva di non saper nulla. Però ogni giorno nell'ora in cui passava quello delle rane, non mancava mai di affacciarsi all'uscio, col fuso in mano. Il Tomo appena tornava dal fiume, gira e rigira pel paese, era sempre in volta per quelle parti, colla sua resta di rane in mano, strillando: - Pesci-cantanti! pesci-cantanti! - come se i poveretti di quelle straduccie potessero comperare dei pesci-cantanti. - E' devono essere buoni pei malati! - diceva la Lucia che si struggeva di mettersi a contrattare col Tomo. Ma la mamma non voleva che spendessero per lei. Il Tomo, vedendo che Lucia lo guardava di soppiatto, col mento sul seno, rallentava il passo dinanzi all'uscio, e la domenica si faceva animo ad accostarsi un poco più, sino a mettersi a sedere sullo scalino del ballatoio accanto, colle mani penzoloni fra le cosce; e raccontava nel crocchio come si facesse a pescare le rane, che ci voleva una malizia del diavolo. Egli era malizioso peggio di un asino rosso, Pino il Tomo, e aspettava che le comari se ne andassero per dire alla gnà Lucia: - E' ci vuol la pioggia pei seminati! - oppure: - Le olive saranno scarse quest'anno. - A voi cosa ve ne importa? che campate sulle rane - gli diceva Lucia. - Sentite, sorella mia; siamo tutti come le dita della mano; e come gli embrici, che uno dà acqua all'altro. Se non si raccoglie né grano, né olio, non entrano denari in paese, e nessuno mi compra le mie rane. Vi capacita? Alla ragazza quel "sorella mia" le scendeva al cuore dolce come il miele, e ci ripensava tutta la sera, mentre filava zitta accanto al lume; e ci mulinava, ci mulinava sopra, come il fuso che frullava. La mamma, sembrava che glielo leggesse nel fuso, e come da un par di settimane non si udivano più ariette alla sera, né si vedeva passare quello che vendeva le rane, diceva colla nuora: - Com'è tristo l'inverno! Ora non si sente più un'anima pel vicinato. Adesso bisognava tener l'uscio chiuso, pel freddo, e dallo sportello non si vedeva altro che la finestra di rimpetto, nera dalla pioggia, o qualche vicino che tornava a casa, sotto il cappotto fradicio. Ma Pino il Tomo non si faceva più vivo, che se un povero malato aveva bisogno di un po' di brodo di rane, diceva la Lucia, non sapeva come fare. - Sarà andato a buscarsi il pane in qualche altro modo - rispondeva la cognata. - Quello è un mestiere povero, di chi non sa far altro. Santo, che un sabato sera aveva inteso la chiacchiera, per amor della sorella, le faceva il predicozzo: - A me non mi piace questa storia del Tomo. Bel partito che sarebbe per mia sorella! Uno che campa delle rane, e sta colle gambe in molle tutto il giorno! Tu devi cercarti un campagnuolo, ché se non ha roba, almeno è fatto della stessa pasta tua. Lucia stava zitta, a capo basso e colle ciglia aggrottate, e alle volte si mordeva le labbra per non spiattellare: - Dove lo trovo il campagnuolo? - Come se stesse a lei a trovare! Quello solo che aveva trovato, ora non si faceva più vivo, forse perché la Rossa gli aveva fatto qualche partaccia, invidiosa e pettegola com'era. Già Santo parlava sempre per dettato di sua moglie, la quale andava dicendo che quello delle rane era un fannullone, e certo era arrivata all'orecchio di compare Pino. Perciò ad ogni momento scoppiava la guerra tra le due cognate: - Qui la padrona, non son io! - brontolava Lucia. - In questa casa la padrona è quella che ha saputo abbindolare mio fratello, e chiapparlo per marito. - Se sapevo quel che veniva dopo, non l'abbindolavo, no, vostro fratello; ché se prima avevo bisogno di un pane, adesso ce ne vogliono cinque. - A voi che ve ne importa se quello delle rane ha un mestiere o no? Quando fosse mio marito, ci avrebbe a pensar lui a mantenermi. La mamma, poveretta, si metteva di mezzo, colle buone; ma era donna di poche parole, e non sapeva far altro che correre dall'una all'altra, colle mani nei capelli, balbettando: - Per carità! per carità! - Ma le donne non le davano retta nemmeno, piantandosi le unghie sulla faccia, dopo che la Rossa si lasciò scappare una parolaccia "Arrabbiata!" - Arrabbiata tu! che m'hai rubato il fratello! Allora sopravveniva Santo, e le picchiava tutte e due per metter pace, e la Rossa, piangendo, brontolava: - Io dicevo per suo bene! ché quando una si marita senza roba, poi i guai vengono presto. E alla sorella che strillava e si strappava i capelli, Santo per rabbonirla tornava a dire: - Cosa vuoi che ci faccia, ora ch'è mia moglie? Ma ti vuol bene e parla pel tuo meglio. Lo vedi che bel guadagno ci abbiamo fatto noi due a maritarci? Lucia si lagnava colla mamma. - Io voglio farci il guadagno che ci han fatto loro! Piuttosto voglio andare a servire! Qui se si fa vedere un cristiano, ve lo scacciano via. - E pensava a quello delle rane che non si lasciava più vedere. Dopo si venne a conoscere che era andato a stare colla vedova di massaro Mariano; anzi volevano maritarsi: perché è vero che non aveva un mestiere, ma era un pezzo di giovanotto fatto senza risparmio, e bello come san Vito in carne e in ossa addirittura; e la sciancata aveva roba da pigliarsi il marito che gli pareva e piaceva. - Guardate qua, compare Pino - gli diceva: - questa è tutta roba bianca, questi son tutti orecchini e collane d'oro; in questa giara qui ci son 12 cafisi d'olio; e quel graticcio è pieno di fave. Se voi siete contento, potete vivere colle mani sulla pancia, e non avrete più bisogno di stare a mezza gamba nel pantano per acchiappar le rane. - Per me sarei contento - diceva il Tomo. Ma pensava agli occhi neri di Lucia, che lo cercavano di sotto all'impannata della finestra, e ai fianchi della sciancata, che si dimenavano come quelli delle rane, mentre andava di qua e di là per la casa, a fargli vedere tutta quella roba. Però una volta che non aveva potuto buscarsi un grano da tre giorni, e gli era toccato stare in casa della vedova, a mangiare e bere, e a veder piovere dall'uscio, si persuase a dir di sì, per amor del pane. - È stato per amor del pane, vi giuro! - diceva egli colle mani in croce, quando tornò a cercare comare Lucia dinanzi all'uscio. - Se non fosse stato per la malannata, non sposavo

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Argomenti: capo basso,    cuore dolce

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