I nuovi tartufi di Francesco Domenico Guerrazzi pagina 5

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lasciarle venire fuori: basta adattare a queste macchine i debiti sfiatatoi onde la forza concentrata non prorompa; e poi tirate innanzi. Temete i taciturni; i loquaci si assomigliano a valvole di sicurezza. Di più, tra poco grano si mescola copia maravigliosa di zizzania; per un uomo veramente dotto tu conti venti saltambanchi; per un uomo veramente dabbene concorrono venti imbroglioni, sicchè i primi scemano il soverchio credito che viene in loro dalla scienza e dalla probità; e le sommità così nelle repubbliche come negli altri stati danno sempre sospetto. Noi però dobbiamo avvertire che ai tempi nostri si procede troppo avversi agli avvocati e ai letterati, e ciò per imitazione servile di Napoleone, il quale conobbe molte, non tutte le arti di regno. Egli odiava a morte letterati e avvocati, e aveva torto: questi, ove non li prendiate a contro pelo, vi riusciranno umilissimi, devotissimi e obbedientissimi servitori; e ricordatevi che Irnerio sostenne le regalie a Roncaglia: dicono ei fosse di patria non italiano, ma avvocato egli era. Non temete di Coccei Nerve, di Papiniani, e simili; questi appartengono alla storia della umanità come le mummie alla scienza. Pei letterati non abbisogna neppure, perchè cessino i latrati, l'offa di Virgilio; i pugni di terra che adoperò Dante bastano, e ne avanzano. E quando mai s'incontrasse qualche anima di cerro, allora riuscirà agevole contristare questi acerbi intelletti, empirli di amarezza, guastarne gli averi, renderli poveri e contennendi, e ridurne la voce, quella potente voce della quale procedono tanto superbi, in singulto o in tonfo udito nel Canale orfano.—Insomma gli Svelti hanno rubato i ferramenti, legnami e tegoli apparecchiati per la fabbrica nuova, e li portarono a resarcire l'antica; i Semplici senza sapere quello che si facessero li seguitarono, e si ferirono con le proprie mani. Sia così, dacchè piace a Dio che così sia.—Vi fu un tempo nella mia vita in cui mi parve animoso molto prendere in prestito a Nemesi i suoi flagelli e sferzare a sangue le ipocrisie finte, le superbie manifeste, le ignoranze invereconde, le mediocrità maligne. Guerra sembravami questa non senza molto pericolo, ma piena di gloria; imperciocchè io vedessi i percossi agglomerarsi, annerirsi, e dopo un fremito lungo prorompere in turbine procelloso: però io non temevo quel turbine, fidente nelle sorti della umanità. Adesso poi non ispero più nulla; niente altro desidero che uscire presto dal mondo, e aborro del pari la schiera degl'ingannati e quella degl'ingannatori: Ma del misero stato ove noi semo
Condotte dalla vita altra serena,
Un sol conforto, e della morte, avemo:
io ripeto con le colombe del Petrarca.—Ma se in te la speranza ha fiore di verde, Dio te la mantenga florida, o Gualberto, e le mie parole vi passino sopra senza seccarla: vos rebus servate secundis.—Tu dammi la mano da capo, perdona la cicalata, e buona notte." Mi strinse la mano, e si allontanò fischiando un'aria del Barbiere di
Siviglia.
Il discorso di Ascanio mi aveva intronato il cervello: gli prorompeva improvviso dal cuore, ma senza ombra di empito, e diaccio così come la neve di gennaio. Io in quel momento non mi sentivo balía per ordinarlo e confutarlo, ma non mi sentivo neppure disposto a parteciparlo; mi pareva una grandine di paradossi, una eruzione di misantropia da opprimere, sì, non già da persuadere. Ahimè! uguali ad Ascanio altri non pochi mi circondarono nella vita senza fede e senza speranza, e siccome erano disperati veramente, non per vana ostentazione, così li vidi appassire, prendere a sazietà la vita, e morire.—Io sopravvivo solo a tanti valorosi amici defunti, ma spossato,—ma rotto come colonna mutilata di un tempio in rovine;—e nonostante, quello che mi sostiene è un filo di speranza, e dove venisse a spegnersi io mi protenderei sopra la terra, e le direi:—O madre, cuoprimi;—ed ella accoglierebbe gratamente in suo seno un figlio che ha sofferto tanto, goduto nulla;—assolutamente nulla. Agitato nel profondo, io mi condussi solo all'adunanza; e come soglio, mi posi in disparte oscuro osservatore di quello che avveniva. Gettai uno sguardo sopra la schiera dei fanciulli quivi raccolti per ricevere i premii: e o sia che la impressione delle parole di Ascanio durasse, o fosse veramente così, non vidi mai sembianze più somiglievoli tra loro, nè tanto stupide. Il mio pensiero trascorse a quei giardini ove i mirti e gli allori appaiono tagliati a guisa di muraglie verdi per cui gli uccelli non vedendo rami verdi e arieggiati fuggono via, gli amanti aborrono coteste ombre mute, e gli altri tutti immaginano passeggiare pei corridori di un convento, non già pei floridi viali ove l'uomo si ricrea. La pianta-uomo italiana sembra desiderare libera le rugiade del cielo, e crescere senza impedimento aperta ai raggi del suo sole: ella non consentirà mai a sentirsi ridotta come le dozzine degli aghi dentro cartucce, marcata, numerata, e riposta per ordine dentro agli scaffali.—Ma lasciamo i fanciulli e i loro fati, chè tale a cui le nostre miserie sono note, e le può riparare, provvederà che non vadano in perdizione. Davanti una tavola lunga illuminata da copia di folgoreggianti doppieri, ornata di tappeto verde, sedevano parecchi onorandissimi e onoratissimi Messeri. Menerebbe troppo per le lunghe descriverli tutti: scerrò i principali.—Alla mia destra appariva un personaggio egregiamente nudrito, tondo e rubicondo, con occhi sporgenti e lucidi di quella tale lucentezza che osserviamo negli occhi dei bambini e dei vecchi; quando incomincia o cessa la vita; età che si toccano per la impotenza imbecille; se non che la infanzia ha davanti a se la speranza, e la vecchiezza il sepolcro. Tutto latte e miele, costui mentre dal cavo degli occhi lasciava di ora in ora cadere giù per le guance una stilla di umore cristallino e vago, sopra i muscoli dei labbri gli saltellava un riso dolcissimo.—Così nei giorni di primavera parte di cielo versa talora sopra la terra una pioggia tranquilla, e dall'altra parte il sole irradiandola converte coteste gocce in rubini, in zaffiri, in crisoliti, insomma nella moltiplice generazione delle gemme per cui tu credi che le Fate insanite rovescino sul mondo tutti i loro scrigni di gioie.—O avventurato bambolo di quaranta e più anni! Io non ho tinte che bastino a dipingere la tua beatitudine: tu mi parevi uno di quei putti dorati che sopra gli altari si veggono reggere candelabri, o seduti sopra nuvole formate a sembianza di enormi sfogliate. Se non fossero stati i capelli bianchi, con manifesto errore cresciuti sul tuo capo destinato a perpetua infanzia, con un paio di ale alle spalle ti avrebbero scambiato con Cupido. La provvidenza ti tenga lontana dal disinganno, o innocentissima creatura, perchè il tuo cuore si romperebbe come una tazza di porcellana da mano inesperta lasciata cadere sul pavimento. La natura ti culli, o adulto bambolo, cantandoti la nanna, e ti asperga incessantemente col liquore dei suoi più narcotici papaveri. Di quello che sedeva in mezzo più tardi.—Giovi adesso dire di lui che stava dalla parte opposta: un rispettabile uomo, rispettabilissimo uomo in verità. La natura gli era stata generosa dispensatrice di un capo grosso come un cocomero di Pistoia, e per lo soverchio peso non lo poteva tenere levato, nella guisa appunto che ai cocomeri avviene attaccati a gambo sottile. Costui apparteneva alla famiglia dei Narcisi, che di se s'innamorano, e guardandosi dentro allo specchio per tenerezza si baciano, e si fanno plauso, e si dicono: Bravo!—Sentite cosa incredibile e vera: una volta s'immaginò gravido; verso il nono mese si pose in letto, e cominciò a guaire come donna partoriente:—Ohimè, ch'è questo! Quali mostri assalgono la mia povera casa!—fuori di se esclamava suo padre mettendosi la parrucca a traverso.—Uh! uh! piagneva la madre: or come usurpansi le mie parti in famiglia!—e si metteva la

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Argomenti: capo grosso,    soverchio credito,    imitazione servile,    potente voce,    fremito lungo

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