Giambi ed Epodi di Giosuè Carducci pagina 4

Testo di pubblico dominio

contesero un giorno, e, candid'ossa, Sol del martirio avvolge voi la gloria: Ora di lor viltà ne l'ardua possa, Ora sfidando i popoli e la storia, Ora barattan su la vostra fossa. VIII
LE NOZZE DEL MARE
ALLORA E ORA Quando ritto il doge antico Su l'antico bucentauro L'anel d'oro dava al mar, E vedeasi, al fiato amico De la grande sposa cerula, Il crin bianco svolazzar; Sorrideva nel pensiero Ne le fronti a' padri tremuli De' forti anni la virtù, E gittava un guardo altero, Muta, a l'onde, al cielo, a l'isole, La togata gioventù. Ma rompea superbo un canto Da l'ignudo petto ed ispido De gli adusti remator, Ch'oggi, vivono soltanto, Tizian, ne le tue tavole, Ignorati vincitor. Ei cantavano San Marco, I Pisan, gli Zeni, i Dandoli, Il maggior de i Morosin; E pe' i sen lunati ad arco Lunghi gli echi minacciavano Sino al Bosforo e a l'Eussin. Ne la patria del Goldoni Dopo il dramma lacrimevole La commedia oggi si dà: De i grandi avi i padiglioni Son velari, onde una femmina Il mar d'Adria impalmerà. Le carezze fien modeste: Consumare il matrimonio I due sposi non potran: Paraninfa, da Trieste L'Austria ride; e i venti illirici L'imeneo fischiando van. Fate al Lido un po' di chiasso E su a bordo un po' di musica! Le signore hanno a danzar. Ma, per dio, sonate basso: Qualcheduno a Lissa infracida, Che potrebbesi svegliar. Bah! qui porgono la mano Vaghe donne, a sprizzi fervidi Lo sciampagna esulta qui. Conte Carlo di Persano, Oggi a festa i bronzi rombano: Non mancate al lieto dì. IX
VIA UGO BASSI Quando porge la man Cesare a Piero, Da quella stretta sangue umano stilla: Quando il bacio si dan Chiesa e Impero, Un astro di martirio in ciel sfavilla. Ma nel cuor de le genti il chiuso vero Con un guizzo d'amor risponde e brilla: Ne la notte l'amor e nel mistero Le folgori de l'ira dissigilla. Di ghirlande votive or questa via Nel solenne suo dì Bologna adombra D'un prete sconsacrato a l'alma pia. Ma lascia tu nel gran concilio sgombra, Roma, una sedia: a te Bologna invia Tra' carnefici suoi del Bassi l'ombra. X
ONOMASTICO Ugo il poeta, allor che Italia in forse Di vita ne' servili ozi giacea, Co 'l verbo ardente il secolo percorse, Scossel con l'ira che virtù ricrea. Allor che Italia dal giaciglio sorse Giovenilmente e libertà chiedea, Lei lo zel d'Ugo martire precorse E poi co 'l sangue suggellò l'idea. Ov'è dissidio tra il pensiero e l'opra E larva la parola è del pensiero E la parvenza a l'essere va sopra: O giovinetto, il bel nome severo, Tuo domestico vanto, la via scopra: Intera libertà vuol l'uomo intero. XI
LA CONSULTA ARALDICA Cercate pur se il pio siero che stagna Nel cor d'un paolotto ignoto al dì, Da i reni d'un ladron de l'Alemagna Sangue cavalleresco un giorno uscì, Se ne la tabe che da gli avi nacque E strugge ai figli l'ultimo polmon Vive la colpa d'una rea che piacque Adultera latina al biondo Otton. Deh dite: quante belve a cui le spade Affondar ne la carne era virtù, Quanti marchesi che assalian le strade, Quanti mitrati che vendean Gesù, Quanti storici gradi di peccato Occorron dunque, dite in vostra fé Per poter la camicia di bucato Porger la mane al dormiglioso re? Per quante aule di barbari signori Vigilate dal pubblico terror Bisogna aver contaminato i cuori Ed i ginocchi, e quante volte ancor Rinnegata la misera latina Patria e del suo comun le libertà, Per poter di diritto a la regina Tener la coda quando a messa va? Oh non per questo dal fatal di Quarto Lido il naviglio de i mille salpò, Né Rosolino Pilo aveva sparto Suo gentil sangue che vantava Angiò. Ma voi da l'arche, voi da gli scaffali, Invidiando a i vermi ombra e sopor, Corna di cervi e teschi di cignali Ed ugnoli d'arpie mettete fuor; Ed a gli scheltri de le ree castella Che foscheggian pe 'l verde ermo Apennin, Poi che l'austero e pio Gian de la Bella Trasse i baroni a pettinare il lin (E allora il pugno già contratto al brando Ne l'opera plebea ben si spianò, E su le labbra tumide il comando In lusinga servile iscivolò), A quegli scheltri voi chiedete ancora Le targhe colorate e il pennoncel; E vorreste veder l'antica aurora Arrider mesta a un gotico bertel. O dormenti nel giorno, il gallo canta, Ferve il lavoro e cedon l'ombre al ver; L'azzurro oltremarin di Terra santa È bava di lumaca in suo sentier. Rendete pur, rendete a i vecchi scudi Il pallid'oro che l'ebreo raschiò Ed a gli elmi le corna: io questi ludi A la vecchiezza invidiar non so. E aspettate così ne le supreme Gran gale, o morituri, il funeral: La libertà tocca il tamburo, e insieme Dileguan medio evo e carneval. XII
NOSTRI SANTI E NOSTRI MORTI A i dì mesti d'autunno il prete canta I morti in terra ed i suoi santi in ciel, E muta il suon de' bronzi, e l'are ammanta Oggi di lieto e doman d'atro vel. Noi d'un cuor solo e con un solo rito A' tuoi santi e a' tuoi morti, o libertà, Libiamo il vin del funeral convito, Come la Grecia ne le antiche età. Ahi, ma libando a' gloriosi estinti Ne i dì fausti la greca gioventù Rammemorava i regi uccisi e i vinti, E in Atene regnavi unica tu. De' nostri morti in su le fosse erbose Pasce il crociato belga il suo destrier: Il vostro sangue, o eroi, nudrì le rose Di tiranni lascivi a l'origlier. Da i monti al mar la bianca turba, eretta In su le tombe, guarda, attende e sta: Riposeranno il dì de la vendetta, De la giustizia e de la libertà. XIII
IN MORTE DI GIOVANNI CAIROLI O Villagloria, da Crèmera, quando La luna i colli ammanta, A te vengono i Fabi, ed ammirando Parlan de' tuoi settanta. Tinto del proprio e del fraterno sangue Giovanni, ultimo amore De la madre, nel seno almo le langue, Caro italico fiore. Il capo omai da l'atra morte avvolto Levasi; ed improvviso Trema su 'l bianco ed affilato volto L'aleggiar d'un sorriso, L'occhio ne l'infinito apresi, il fere Da l'avvenire un raggio: Vede allegre sfilar armi e bandiere Per un gran pian selvaggio, E in mezzo il duce glorioso: ondeggia La luminosa chioma A l'aure del trionfo: il sol dardeggia Laggiù in fondo su Roma. Apri, Roma immortale, apri le porte Al dolce eroe che muore: Non mai, non mai ti consacrò la morte, Roma, un più nobile core. Del cor suo dal bordel venda un fallito Cetégo la parola, Eruttando che il tuo gran nome è un mito Per le panche di scola: Al divieto straniero adagi Ciacco L'anima tributaria Su l'altro lato, e dica – Io son vigliacco, E poi c'è la mal'aria –: Per te in seno a le madri, ecco, la morte Divora altri figliuoli: Apri, Roma immortale, apri le porte A Giovan Cairoli. Egli, ombra vigilante a i dì novelli, Il tuo silenzio antico Abiterà co' Gracchi e co' Marcelli E co 'l suo forte Enrico. L'ali un dì spiegherà su 'l Campidoglio La libertà regina: Groppello, allor da ogni ultimo scoglio De la terra latina, E giù da l'Alpi e giù da gli Apennini, Garzoni e donne a schiera Verranno a te, fiorite i lunghi crini D'aulente primavera. E con lor sarà un vate, radioso Ne la fronte divina, Come Sofocle già nel glorioso Trofeo di Salamina: Ei toccherà le corde, e de i fratelli Dirà la santa gesta; Né mai la canzon ionia a' dì più belli Risonò come questa. Groppello, a te co 'l solitario canto Nel mesto giorno io vegno, E m'accompagna de l'Italia il pianto E, nube atra, lo sdegno: Nel mesto giorno che la quarta volta Te visitò la Parca, E sott'essa la tua funerea volta Batte il martel su l'arca Del giovinetto, la cui mite aurora Empiva i clivi tuoi Di roseo lume. Oh come sola è ora La casa de gli eroi! De le sue stanze pe 'l deserto strano S'incontran due viventi: Tristi echi rende il sepolcreto vano Sotto i lor passi lenti: Avvalla il figlio de la madre in faccia Il viso e gli occhi muti, Che non rivegga in lui la cara traccia De' suoi quattro perduti. O madre, o madre, a i dì de la speranza Dal tuo

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