La famiglia dell'antiquario di Carlo Goldoni pagina 11

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infinitamente. COLOMBINA Signora padrona, vi ricordate quant'è che mi avete promesso un paio di scarpe? ISABELLA Tieni, comprale a tuo modo. (le dà un ducato) COLOMBINA Che siate benedetta! (Così si macina a due mulini). (da sé, parte) ISABELLA (Il Cavaliere mi tratta così?). (da sé) DOTTORE Vuole, ch'io le vada a prendere dell'acqua un poco tiepida? ISABELLA (In casa mia? Su gli occhi miei?). (da sé) DOTTORE Signora, è in collera? Non l'ho fatto apposta. ISABELLA (Bell'azione!) (da sé) DOTTORE Dica, signora Contessa... ISABELLA Non mi rompete la testa. DOTTORE Ma cosa le ho fatto? Sempre la mi strapazza, sempre la mi mortifica. Scena sedicesima Il conte Giacinto, e detti. GIACINTO Signora madre, se l'amor mio può nulla nel vostro cuore, sono a pregarvi di non negarmi una grazia. ISABELLA Cosa volete? GIACINTO Mia moglie, fra le persuasive mie, e quelle di suo padre, è dispostissima a darvi tutti i segni possibili di rassegnazione, e rispetto; vi supplico, vi scongiuro, vederla, sentirla, perdonarle il passato, e amarla, per l'avvenire. ISABELLA Che avete costà? Un orologio? GIACINTOsignora, un orologio. ISABELLA Lasciate vedere. GIACINTO Eccolo. ISABELLA Chi ve l'ha dato? GIACINTO Mia moglie. ISABELLA E voi avete sì poca riputazione di portare questo orologio? GIACINTO Perché? Cosa vi è di male? ISABELLA Sapete da chi vostra moglie lo ha avuto? GIACINTO Da suo padre. ISABELLA Non è vero. L'ha avuto dal suo cicisbeo. GIACINTO Cicisbeo mia moglie? ISABELLA Signor sì. Anch'ella si è messa all'onor del mondo. GIACINTO Voi mi fate restar stordito. E chi è questo, che voi chiamate col nome di cicisbeo? ISABELLA Il Cavalier del Bosco. GIACINTO Eh, questo è un amico di casa. ISABELLA È amico di casa. Ma a lei ha donato l'orologio. GIACINTO Il Cavaliere glie l'ha donato? ISABELLA Sì egli appunto. DOTTORE Mi perdoni s'io entro dove non son chiamato; quell'orologio mi par di conoscerlo, mi par, che fosse del signor Pantalone. ISABELLA Cosa sapete voi, che siete vecchio cadente, e non ci vedete? Così è: il caro signor Cavaliere ha fatto questo bel regalo alla vostra sposa. GIACINTO Voi mi mettete in una gran gelosia. ISABELLA Povero figlio! Te l'ho detto, che sei assassinato. Ecco, non basta, che sia una plebea, è anche una fraschetta. GIACINTO Mi pare ancora impossibile. ISABELLA Lo vedrai. GIACINTO In camera di udienza ci aspettano, se volete venire. ISABELLA Sì vengo vengo (Può essere, che mi riesca di scoprir qualche cosa). GIACINTO Ma l'orologio? ISABELLA Per ora lo tengo io. Dottore, datemi mano. DOTTORE La servo. Per carità, che la non mi gridi. ISABELLA Via, via, meno ciarle. Contentatevi così. DOTTORE Pazienza. (parte dando braccio alla Contessa) GIACINTO Mia madre, e mia moglie sono due nemiche. Non so che credere, non so che pensare. Il Cavaliere dare un orologio a mia moglie? Per qual cagione? Andiamo, andiamo. Il tempo scoprirà il vero. Scena diciassettesima Altra camera del conte Anselmo. Il conte Anselmo e Pantalone ANSELMO Eccomi qui, eccomi qui. Ma quanto ci doverò stare? PANTALONE Aspettemo, che le vegna. Disemo quattro parole; femo sto aggiustamento, e l'anderà dove, che la vol. ANSELMO (Brighella non si vede colla risposta della galleria). (da sé) PANTALONE Vien zente. Chi èla questa, che no ghe vedo troppo? ANSELMO È mia moglie. PANTALONE E con ella, chi gh'è? ANSELMO Non ve l'ho detto? Il suo consigliere. PANTALONE L'è il dottor Balanzoni! ANSELMO Cose vecchie, cose vecchie. PANTALONE Ma cossa gh'intrelo? Averia gusto, che fussimo soli. ANSELMO Eh lasciatelo venire; cosa v'importa? PANTALONE (Che bel carattere, che xè sto sior Conte!) (da sé) Scena diciottesima La contessa Isabella col Dottore, che le dà mano, ed il conte Giacinto, e detti. ANSELMO Ben venuti, ben venuti. DOTTORE Fo riverenza al signor Conte. PANTALONE Siora Contessa, ghe son umilissimo servitor. ISABELLA La reverisco. PANTALONE (La ghe diga qualcossa. Femo pulito). (piano al Conte) ANSELMO (Orsù, giacché ci siamo, bisogna fare uno sforzo). Contessa mia, vi ho fatto qui venire per un affar d'importanza. In poche parole mi sbrigo. In casa mia voglio la pace. Se qualche cosa è passata fra voi e vostra nuora, s'ha da obbliare il tutto. Voglio, che ora vi pacifichiate, e che alla mia presenza torniate come il primo giorno, che Doralice è venuta in casa. Avete inteso? Voglio che si faccia così. (alterato) ISABELLA Voglio? ANSELMO Signora sì, voglio. Questa parola la dico una volta l'anno, ma quando la dico, la sostengo. (come sopra) ISABELLA E volete dunque... ANSELMO Quello, ch'io voglio l'avete inteso. Non vi è bisogno di repliche. ISABELLA (So, che qualche volta è una bestia, non voglio irritarlo). (da sé) ANSELMO (Che dite? Mi sono portato bene?). (a Pantalone) PANTALONE Benissimo. ANSELMO (Ho fatto una fatica terribile). (da sé) Scena diciannovesima Doralice servita dal Cavalier del bosco, e detti ISABELLA (Eccola coll'amico). (a Giacinto) PANTALONE (Cossa gh'intra quel sior con mia fia?). (ad Anselmo) ANSELMO (Non ve l'ho detto? Il suo consigliere). CAVALIERE Padroni miei; con tutto il rispetto. DORALICE Serva de lor signori. ANSELMO E voi, signora, non dite niente? (ad Isabella) ISABELLA Divotissima, divotissima. (sostenuta) ANSELMO Sediamo un poco. Non stiamo in piedi. (tutti siedono) ISABELLA Signor Cavaliere, che ora è? CAVALIERE Non lo so davvero. ISABELLA Non avete l'orologio? CAVALIERE L'ho dato ad accomodare. ISABELLA Guarderò io. (guarda sull'orologio avuto da Giacinto) PANTALONE (Oe! Come gh'ala, el relogio, che ho dà a mia fia?). (da sé) ANSELMO Avete un bell'orologio. Lasciatemelo un poco vedere. ISABELLA Eccolo. Miratelo pure; e in esso contemplate il bell'onore della nostra casa. DORALICE È necessario un orologio, dove ognora si scandagliano i quarti della nobiltà. ANSELMO Mi piace questo cameo. Sarà antico non è vero? ISABELLA Io non lo so. Domandatelo a chi ha portato quest'orologio in casa. ANSELMO Voi da chi l'avete avuto? ISABELLA Da Giacinto. ANSELMO E a te Giacinto, chi te l'ha dato? GIACINTO Mia moglie. DORALICE E a me l'ha dato mio padre. ISABELLA Oh, oh, oh, suo padre? (ridendo forte) PANTALONE Siora sì, ghe l'ho dà mi, siora sì. ISABELLA Bravo, bravo (senti come il padre fa bene il mezzano alla figlia). (piano a Giacinto) ANSELMO Questo cameo è bellissimo. PANTALONE (Orsù vorla, che scomenzemo a parlar? Vorla dir ela?). (piano ad Anselmo) ANSELMO Guardate la chioma di quella sirena, se può essere più bella. La voglio veder colla lente. (tira fuori una lente, e osserva il cameo, e non bada a chi parla) PANTALONE (El tempo passa). (come sopra) ANSELMO Principiate voi, poi dirò io. Intanto lasciatemi prender gusto in questo cameo. PANTALONE Signore; se le me permette, qua per ordene del sior Conte mio paron, del qual ho l'onor de esser anca parente... DORALICE Per mia disgrazia. PANTALONE Tasè là, siora, e fin che parlo no m'interrompè! Come diseva, se le me permette, farò un piccolo discorsetto. Pur troppo xè vero, che tra la madonna, e la niora poche volte se va d'accordo... ISABELLA Quando la nuora non ha giudizio. DORALICE Quando la suocera è presontuosa. PANTALONE Cara ela, per carità, la prego, la me lassa parlar; la sentirà con che rispetto, con che venerazion, con che giustizia parlerò de ela. (ad Isabella) ISABELLA Io non apro bocca. PANTALONE E vu tasè. (a Doralice) DORALICE Non parlo. PANTALONE Credo, che per ordinario le dissension, che nasce tra ste do persone le dipenda da chiaccole, e pettegolezzi. ISABELLA Questa volta son cose vere. DORALICE Vere, verissime. PANTALONE Oh poveretto mi! Me lassele dir? ISABELLA Avete finito? Vorrei parlar anch'io. DORALICE Una volta per uno; toccherà ancora a me. PANTALONE Mo

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