Garibaldi di Francesco Crispi pagina 3

Testo di pubblico dominio

nel persuadere i contribuenti di pagare al governo che nasceva. Al tempo stesso bisognava persuadere i cittadini che il governo che nasceva non era nè avido nè dissipatore, e però Garibaldi ordinò che i suoi compagni non fossero trattati che colla razione da soldato. E ciò non bastava. Il 18 maggio, quando fummo a Partinico, trovammo i principali edifizi della città arsi dalle truppe borboniche. Garibaldi comprese quale guerra selvaggia si faceva in quei momenti dal nemico, e senti che bisognava incoraggiare il popolo e assicurarlo dell'avvenire. A tale scopo fu fatto il decreto che ordinava il risarcimento dei danni di guerra dallo Stato, e più tardi, a non aggravare della fortissima spesa l'erario nazionale, furono invertite a cotesto beneficio tutte le rendite di quelle Opere Pie di stato incerto—e ve ne sono ancora molte in Italia e non si sa chi le mangia (Ilarità, applausi)—escluse le rendite destinate agli Ospedali, all'indigenza, al publico insegnamento, e a tutto ciò che veramente dovrebbe essere la provvidenza dei governi. Giunti al passo di Renna, vennero desolanti notizie dalle terre vicine. Bande di scorridori portavano lo sconforto nelle tranquille popolazioni, col saccheggio e la rapina. Fu in conseguenza una necessità il fare leggi di guerra. Garibaldi allora istituì tribunali militari, a cui fu data la giurisdizione, per tutti i reati, durante il tempo della guerra. Più tardi di questi tribunali ne furono istituiti in ogni capoluogo di circondario. Nulla a Garibaldi faceva maggior ribrezzo del furto. Talora aveva compassione dell'imputato per reati di sangue nei quali poteva vedersi la conseguenza dell'affetto. Disinteressato, generoso, non tollerava gli abusi contro la proprietà altrui. Occupata Palermo, furono completate codeste leggi, e si riordinò con forme stabili l'amministrazione civile. E poichè le popolazioni giudicano la bontà dei governi dal bene che alle medesime ne deriva, il Dittatore decretò la divisione dei demanii comunali col diritto di una quota speciale a coloro che avevan prese le armi nelle guerre nazionali. In questo modo era doppio il vantaggio: avevamo una legge agraria colla ripartizione dei latifondi, la creazione di nuovi proprietarii e la soddisfazione alle plebi che per quell'atto di suprema economia si interessavano all'opera dell'emancipazione politica, dalla quale ricavavano il beneficio. Nè ciò soltanto. Furono fatte varie leggi per la educazione militare dei fanciulli e per provvedere, con pensioni, agli orfani e alle vedove dei morti per la patria. Signori, da taluno fu censurato Garibaldi perchè egli aveva richiamato in vigore le leggi del 1848. Riflettendoci bene, i critici severi dovranno finire per dare ragione a lui che ne ebbe il pensiero ed a colui che ne fu l'esecutore. Le Insurrezioni del 1859 e del 1860 non furono che una rivendicazione del diritto italiano, affermato e sancito al 1848. Al 1848 furono distrutti i trattati di Vienna, che erano un vincolo internazionale per le dinastie straniere in Italia; e fu dichiarata la decadenza dei Borboni e degli altri principi che allora governavano nella penisola. Caduti al 1849 sotto il giogo delle vecchie tirannidi dovemmo subire la violenza, ma il diritto italiano non rimase spento; e solo si aspettava la risurrezione dei popoli per rivendicarlo e rimetterlo in onore. Il richiamo adunque delle leggi politiche del 1848 fu una logica necessità, e Garibaldi lo comprese e vi diè complemento col plebiscito del 21 ottobre 1860 che dichiarò l'Italia una e indivisibile dalle Alpi ai due mari (Applausi). Signori, io fo ora a me stesso una domanda: il mondo ufficiale ebbe fede in Garibaldi? Non posso affermarlo, e non oso negarlo. I fatti apparenti più di una volta mi han dato ragione di dubitarne. Prego intanto di non esser frainteso. In tutto questo non c'entra la monarchia, e molto meno Vittorio Emanuele, il più leale dei principi, il miglior amico di Garibaldi (Applausi). Signori, il mondo ufficiale consiste nel sistema, nelle abitudini, nei cortigiani che circondano il trono, nei bigotti che stanno sotto i gradini del trono, che temono le innovazioni e che non hanno fede nelle forze popolari (Applausi). Al 1848 quando Garibaldi venne da Montevideo, gli fu negato di comandare un corpo di truppe. Al 1849, dopo la caduta di Roma, si finse—lui nato a Nizza la quale allora faceva parte del regno—che egli, militando a Roma, avesse perduto la nazionalità sarda; e però fu mandato in esilio. Pei ministri che allora governavano egli era il condannato politico del 1834, il socio della Giovane Italia. Al 1859, contro la volontà del Re e del suo primo ministro, Garibaldi fu chiuso entro un angusto campo di battaglia, con pochi uomini e senza artiglierie, lungi dall'òrbita degli eserciti alleati, quasi dimenticato. Alla testa dei Cacciatori delle Alpi egli fece miracoli di valore, vinse il famigerato Urban; ma, per mancati aiuti, talora dovette sgombrare le terre da lui redente, non potendo resistere alle forze soverchianti del nemico. Al 1860, salpato da Quarto, poco mancò che non lo arrestassero nelle acque di Sardegna. Dittatore di Sicilia e di Napoli, la sua amministrazione fa continuamente insidiata e i suoi uomini bersagliati dalle calunnie. Nulladimeno, giunto a Marsala, egli aveva proclamato Vittorio Emanuele Re d'Italia; tutti i suoi decreti portavano in capo le parole: «Vittorio Emanuele» ed erano in nome del Re intestate le sentenze dell'autorità giudiziaria e tutti gli atti publici. Dopo il suo ingresso a Palermo fu elevato lo stemma reale in tutti i publici edifizi e lo stemma reale fu impresso nelle bandiere. E dopo ciò perchè dubitare di lui? perchè dubitare degli uomini suoi? Vi era forse un solo fra coloro che lo circondavano che non volesse l'unità colla monarchia? Garibaldi, imbarcandosi a Quarto, aveva inalberato la bandiera collo scudo di Savoia; tanto che alcuni cittadini i quali non credevano in quella bandiera, non vollero imbarcarsi, ed altri scesero a Talamone. Sul finire del luglio 1860, il mondo ufficiale gli suscitò ostacoli per passare il faro. Ed avvertite che l'impresa siciliana sarebbe rimasta infeconda, se i Garibaldini non avessero cacciato Francesco Borbone dalla sua capitale. Allora si temè che se la rivoluzione fosse penetrata sul continente, la monarchia italiana ne avrebbe patito. Impertanto i nostri avversarii congiurarono con un generale borbonico e con un ministro fedifrago, e mandarono emissarii perchè avessero provocato una insurrezione militare (Profonda sensazione). Si ideò—strano progetto—che si desse provvisoriamente il governo ad un principe borbonico, affinchè questi avesse preparato il nuovo regno di Vittorio Emanuele. Vani conati che spiegavano il malvolere e suscitavano sospetti in un momento in cui era necessaria la concordia per il compimento dell'unità nazionale. Coteste son macchie che non salgono in alto, ma si arrestano sotto i gradini del trono. Il 7 settembre 1860 Garibaldi entrò trionfante in Napoli, e il primo suo atto fu di affidare la squadra napoletana all'ammiraglio Persano. Quale pegno maggiore si poteva avere da lui? Quest'uomo singolare, disinteressato, generoso, provvidenziale, vera personificazione del popolo, aveva del soprannaturale. Nella vita di quest'uomo parrebbe che ci fosse del divino. L'Ercole e l'Achille degli antichi non valevano lui. Se fosse nato in Atene o in Roma, gli avrebbero alzato altari (Applausi). Percorriamo a brevi tratti i punti singolari di questa vita, straordinaria, tempestosa, difficile, e vedrete che le mie parole non sono una esagerazione. In America alla testa di 70 uomini contro 1000 nemici, al comando di due povere barche contro la flotta brasiliana, seppe uscire vincitore. Un giorno trascinò le sue barche sull'Oceano che le ingoiò; egli si salva a nuoto, ritorna a terra, ricompone la legione, combatte e vince. Quando nei principii del 1848 ebbe notizia del movimento italiano, si imbarcò sopra un

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Argomenti: nuovo regno,    stemma reale,    quota speciale,    educazione militare,    vincolo internazionale

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